La resistenza in Friuli e il sacrificio della Osoppo

Gentile Granzotto, nella sua risposta di venerdì purtroppo scambia la Brigata Garibaldi - partigiani comunisti, fazzoletti rossi - con la Brigata Osoppo, partigiani «bianchi» ed indipendenti, fazzoletti verdi. Erano quelli della «Garibaldi» che in combutta con il IX Corpus titino volevano un Friuli rosso. I partigiani della «Osoppo» dovettero difendersi dai nazifascisti e dai partigiani comunisti e titini. Subirono tradimenti ed eccidi. Spero voglia riparare anche in memoria dei partigiani della Osoppo, difensori dell’Italia dai nemici di ogni colore. Fra essi permetta di ricordare mio suocero Angelo Sant di Buia (Udine) che nell’aprile 1945, appena diciottenne, per primo issò il tricolore sul castello di Udine. Anche lui reclama giustizia.



Rispondendo e scusandomi con lei, caro Saugher, mi rivolgo anche ai molti, moltissimi lettori che hanno riscontrato l’errore nel quale sono incorso. Anche se cerco di applicarmi, come si diceva una volta a scuola, non è il primo e purtroppo non sarà l’ultimo. Cosa avvenga in quel poco di cervello che ho che mi faccia scrivere un nome o una cifra per l’altra, nella assoluta certezza che sia quella giusta sapendo che invece è sbagliata, be’, è un mistero. Perciò non me la sento di assicurare alcunché: l’unica cosa che, quando càpita, posso promettere è che seguiterò a farne ammenda, senza incolpare il solito proto e senza più ricordare che se quandoque bonus dormitat Homerus, figuriamoci le dormite del povero Granzotto.
Certo, e chi non lo sa: non nella Osoppo, ma nella brigata partigiana Garibaldi militava quel criminale di Mario Toffanin. Anzi, nei Gap - Gruppi di azione partigiana - appartenenti a quelle brigate Garibaldi che prendevano ordini dal Pci, precisamente da Luigi Longo. Su Toffanin, sulla brigata Garibaldi inquadrata nel IX Corpus titino e sui delitti dei quali si resero responsabili, oggi l’Anpi, l’Associazione nazionale dei partigiani della quale è presidente Oscar Luigi Scalfaro, preferisce tacere. Il nome di Mario Toffanin non compare nemmeno nel puntiglioso elenco degli uomini e delle donne della Resistenza (e sì che «Giacca» ebbe, dalle mani di Tito, il «Partizanska Spomeniza», il più alto riconoscimento per la lotta partigiana). In quanto alle mattanze, alle barbarie, alle torture, l’Anpi se la cava con un ambiguo e ipocrita: «Nelle regioni venete il movimento partigiano passò anche attraverso gli intricati rapporti e le difficoltà nate con la presenza jugoslava sul territorio - interpretata in maniera contrastante tra le forze politiche - che portarono a gravi episodi nell’ambito partigiano, come l’eccidio di Porzûs in provincia di Udine». Di ben altro tenore l’antica vulgata, con la Osoppo «appositamente costruita per ostacolare le attività dei Garibaldini del Friuli, formata da uomini di destra, nazionalisti e monarchici, opportunisti animati da un profondo anticomunismo, al contrario del fervente patriottismo che animò sempre le Brigate Garibaldi».
Definire «fervente patriottismo» quello dei brigatisti garibaldini che si prefiggevano di annettere alla Jugoslavia del compagno Tito il Friuli e il Veneto orientale fino al Tagliamento, ce ne vuole. Ma così era la vulgata, alla quale montavano la guardia occhiuti priori, sempre pronti a denunciare «deviazioni» e «provocazioni», come immancabilmente accadeva se qualcuno pronunciava il nome di Porzûs o delle foibe.

Ma lei, caro Suagher, quella storia la conosce bene ed altrettanto bene sa come venne raccontata. Nessuna meraviglia, dunque, che il nome di suo suocero, «fazzoletto verde», non compaia nella saga della Resistenza scritta dai «fazzoletti rossi». Di sangue.
Paolo Granzotto

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