«Resistere, resistere» Il verbo di Borrelli applicato alla poltrona

Ex magistrato, ex co-fondatore di Magistratura democratica, ex capo del pool di Mani pulite, ex uomo più potente d’Italia nella lunga stagione di Tangentopoli, ex procuratore generale presso la Corte d’Appello di Milano, ex giudice tributario, ex capo dell’ufficio indagini Figc, e da poche ore ex presidente del Conservatorio di Milano, Francesco Saverio Borrelli nella sua lunga e onorata carriera è stato seduto su numerose poltrone e a capo di variegati movimenti, legali e morali. Quello del comando è un dono, e forse un destino. Al quale non è facile rinunciare.
Resistere come su una irrinunciabile linea del Piave «ai guasti di un pericoloso sgretolamento della volontà generale e al naufragio della coscienza civica nella perdita del senso del diritto, estremo baluardo della questione morale, è dovere della collettività». Allo stesso modo resistere allo scorrere inesorabile del tempo e al legittimo avvicendamento delle cariche, estremo baluardo del potere individuale, è un diritto di ogni cittadino.
Resistere alla perdita di potere è umano, troppo umano. Capita anche ai migliori. Anche al kaiser di Mani pulite. Anche a un ex procuratore generale che pur di non andare in pensione, come dichiarò a suo tempo, era disposto a tornare a fare il semplice Pm. Lavorare è una condanna, ma comandare una maledizione. Non te ne liberi più.
Sostituito due giorni fa alla presidenza del Conservatorio di Milano, Francesco Saverio Borrelli, 80 anni proprio domani (a proposito, buon compleanno) non ha per nulla gradito la sostituzione col giovane editore Arnoldo Mosca Mondadori, buttandola nel politico e adombrando il complotto: «Evidentemente non devo essere gradito agli esponenti di questo governo», ha ironizzato. Eppure - come del resto ha commentato ieri un quotidiano left-oriented come il Riformista - la scelta della staffetta tra Borrelli e Mosca Mondadori non è per nulla scandalosa, ma del tutto legittima: il mandato della carica dopo tre anni è scaduto; il nome del sostituto è stato segnalato al ministro Mariastella Gelmini dallo stesso consiglio accademico dell’istituto; e il nuovo presidente è un manager-intellettuale con un curriculum che difficilmente potrebbe trovare eguali, persino rispetto a quello dello stesso Borrelli, «mediocre pianista» per sua stessa ammissione ma soprattutto, all’atto della sua nomina, tre anni fa, senza alcuna riconosciuta competenza nell’ambito artistico. Fedina morale candida, ma meriti culturali oscuri. Eppure nessuno mosse obiezioni.
E allora perché la sua mancata riconferma alla guida del Conservatorio, scaduto il triennio, deve suscitare indignazione? La risposta, forse, è nell’incapacità di accettare l’idea di farsi da parte, di cedere il posto, di passare il testimone. Un vizio peraltro tutto italiano.
Sono gli «inamovibili», immortali a ogni costo, grandi vecchi che tengono la poltrona con gli artigli e le zanne, campioni di un mondo e di una generazione che nemmeno si degna di prendere in considerazione l’ipotesi di lasciare spazio ai giovani. Il potere è mio, e lo gestisco io. Sono gli highlander ai quali Panorama di questa settimana, per esempio, ha dedicato un eterno ritratto: Antoine Bernheim nella finanza, Marco Pannella in politica, Paolo Limiti in televisione... E se ne potrebbe stendere un elenco senza fine, come la loro fame di cariche, visibilità, influenza, comando. La meglio senectute.
Repubblica gerontocratica fondata su di loro, l’Italia è un Paese in cui da sempre la maturità anagrafica è sinonimo di potere. Nella politica, nell’economica, nel mondo accademico, in quello delle professioni, nelle grandi aziende «di famiglia», nel senso che il padre continua a comandare e i figli, che ormai hanno più di 40 anni, a obbedire. Le poltrone, da noi, si trasmettono solo per successione ereditaria. Per liberarle deve morire qualcuno. Ma Dio non voglia, per carità.
Dio non voglia, e lunghissima vita a Francesco Saverio Borrelli. Ma perché parlare di «epurazione», invece che di un normale, legittimo e magari anche salutare avvicendamento? A ottant’anni...
Animo puro da romantico, mente giuridica da illuminista, elegante personalità aristocratica, Francesco Saverio Borrelli per tutta la vita ha dato prova di possedere spirito ingovernabile e carisma del leader. Oggi non sarebbe un peccato, né un reato, scendere a compromessi con il tempo che passa. Come molti altri suoi colleghi d’età e d’ufficio che non accettano di portare il suffisso «ex», il Capo di Mani pulite, l’uomo che incarnò una stagione del nostro inglorioso passato, dovrebbe con un triplice grado di umiltà resistere, resistere e ancora resistere all’orgoglio del potere. Vanitas vanitatum.


Una volta, tanto tempo fa, Borrelli disse: «Sono un pessimo cavaliere, un pessimo alpinista, un dilettante di professione, ma mi piacciono così tante cose che non faccio in tempo ad essere professionista in tutto». Una lezione che il Grande Inquisitore diede, senza averla imparata. Forse è giunto il momento di scendere senza recriminazioni dal podio del Conservatorio, e del proprio ego. Gli tributeremmo gli applausi di rito.

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