Respinto dall’amica, uccide lei e un tassista

Lo choc degli amici della vittima: «Lei era bellissima, mentre quel ragazzo era un tipo un po’ strano»

nostro inviato a Felino (Parma)
Ha ucciso due volte, in modo feroce. Poi ha bussato ai carabinieri, farfugliando una storia priva di senso. E alla fine è uscito come escono tutti quelli che si «svegliano», comprendendo di aver commesso qualcosa di orrendo: seduto sul sedile posteriore di una gazzella che sgomma via, ammanettato, con il capo chino per nascondere il volto. E forse, si spera, anche per piangere. Ma ci vorranno ancora indagini, serviranno le risultanze delle autopsie e un supplemento di interrogatori per ricostruire esattamente che cosa è successo tra la serata e la notte di martedì nel cervello di Stefano Rossi, 22 anni, residente a Barbisano, frazione collinare di Felino, la capitale parmense dei salami doc.
Di certo, per ora, si sa che il giovane, prima di costituirsi alle 3 di ieri mattina ai carabinieri di Fiorenzuola (Piacenza), in evidente stato di alterazione mentale dovuto anche a un notevole numero di birre, ha lasciato dietro di sé un’orribile striscia di sangue. E due vittime innocenti: la diciassettenne Maria Virginia Fereoli, pare prima strangolata e poi accoltellata decine di volte dal Rossi - reo confesso - in un giardinetto pubblico di Felino, a poche centinaia di metri dalla villa gialla dove la ragazza, figlia unica, viveva con i genitori e i nonni materni; e il tassista Andrea Salvarani, 51 anni, freddato con un colpo di pistola alla fronte.
La notizia, che ha dato la sveglia a Parma con le prime edizioni dei notiziari di radio e tv locali, ha gettato la città emiliana in uno stato d’animo a cavallo tra l’incredulo intontimento e il rassegnato stupore. Con la sgradevole sensazione che un’immeritata maledizione si stia accanendo su quest’angolo d’Italia. Perché a ventisette giorni dal rapimento di Casalbaroncolo, con il fiato ancora sospeso per la sorte del piccolo Tommaso Onofri, la comunità dei parmigiani e parmensi (rispettivamente, i cittadini e i loro «cugini» della provincia) tutto si attendeva, meno che un’altra brutta, bruttissima notizia.
Comunque, purtroppo, è successo. E stando alla ricostruzione fatta finora sulla base delle confessioni rese dal duplice omicida e dai primi rilievi, la sanguinaria serata (e poi nottata) di Stefano Rossi risulta iniziata a Felino, con l’invito a uscire - l’ultimo di una pressante serie di richieste, fino all’altra sera respinte - rivolto alla ragazza, la più bella tra quelle del paese. Lei è uscita di casa alle 21, lasciando detto che andava con amici. Poi, nel buio dei giardinetti Collodi, un angolo di verde in pieno centro a Felino, lontano dagli sguardi di tutti, l’orrore. Rossi, in un orario compreso tra le 23 e la mezzanotte, avrebbe prima strangolato e poi ripetutamente accoltellato la ragazza (lo stabiliranno soltanto le due autopsie), il cui corpo è stato ritrovato all’alba, scalzo, dopo l’allarme lanciato dai genitori che non l’avevano vista rientrare.
A questo punto, nella narrazione, c’è un vuoto. Un buco nero. L’omicida si è spostato senza apparente motivo a Parma (non ha precisato come e con quale mezzo) dove da una colonnina della stazione ha chiamato un taxi. E il destino, crudele, ha scelto dal mazzo la carta di Salvarani, un single di mezza età residente a Vicofertile, frazione di Collecchio, nell’hinterland di Parma, che aveva ottenuto la licenza di tassista da poco meno di un anno. Ed è proprio campagna, sulla strada verso Felino, che qualcos’altro è successo. Forse Salvarani si è accorto che il giovane era insanguinato, o forse soltanto ubriaco. E ha fatto domande che sarebbe stato meglio non fare. Di certo si sa che la sua corsa, insieme alla sua vita, sono finite a San Martino Pinzano, dove Rossi gli ha sparato un unico colpo in fronte, uccidendolo.
Poi, dopo aver tirato giù il cadavere dalla macchina, una Skoda station wagon bianca, e aver gettato in un cassonetto la pistola (una 357 a tamburo per cui aveva il porto d’armi) e un giubbotto insanguinato con 250 euro in contanti, si è messo al volante. E dopo aver girovagato senza una meta apparente, alle tre del mattino si è presentato alla stazione dei carabinieri di Fiorenzuola.

E a loro, dopo aver fatto una prima ammissione - «L’ho uccisa» - ha iniziato a raccontare una storia assurda, parlando di un’aggressione subita mentre era sul taxi. Poi, senza spiegazioni, si è chiuso in un mutismo. Avrà tutto il tempo di ripensarci, e di dire tutta la verità, nella sua cella del carcere di via Burla, dove è stato rinchiuso per duplice omicidio volontario.

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