nostro inviato a Londra
«Siate sempre affamati è un po bambini. E seguite il vostro cuore». Poche parole, una filosofia di vita. Anzi di più: una filosofia di business. Lui è luomo che nel garage di casa un giorno creò lidea di un computer per tutti, lui è luomo che ha messo in mano a 30 milioni di persone nel mondo un lettore musicale unico e semplice, lui è luomo che ora dice che «la più grande invenzione della vita è la morte».
Lui è Steve Jobs, 50 anni, fondatore, anima, padrone della Apple, luomo che ti ammalia per vendere tecnologia, luomo che mercoledì scorso a San Diego e - in collegamento satellitare a Londra - ha festeggiato il record assoluto di bilancio della sua società spiegando al mondo, di nuovo, la sua filosofia: «È tutto così semplice» ha detto, svelando il segreto della sue meraviglie - liMac, il computer tuttofare, liPod, il lettore che ha conquistato il mondo con la musica e ora è anche video, liTunes, il suo negozio virtuale - e togliendo il segreto impenetrabile con uno show, il suo keynote, che ha tenuto tutti a bocca aperta per più di unora. Perché lui, Steve Job, è l«iCon», licona, anche se qualcuno ha voluto ribaltare il termine in «I con» - ovvero «Io truffo» - e ne ha pagato le spese. Insomma: amato, odiato, temuto, ammirato. Lui, Jobs, così potente eppure lì sul palco, vestito nero casual, così poco lontano dal mondo, perché tutto - massimo i sei tasti del nuovo telecomando appena sfornato dalla casa - deve essere semplice. «Siate sempre affamati, un po bambini. E seguite il vostro cuore»: il computer insomma ha una filosofia. Eccola.
«La vera soddisfazione è riuscire a fare un grande lavoro e per fare un grande lavoro bisogna amare il proprio. Se non lavete trovato continuate a cercarlo» (discorso allUniversità di Stanford, 2005). Il piccolo Steve nasce in un garage, come manager sintende. Sua madre naturale lo aveva dato in adozione, ma invece di finire nella lussuosa casa di un avvocato il futuro genio del computer viene assegnato a una coppia di operai: lavvocato infatti rinunciò allultimo perché voleva una bambina. Una vita working class, un bivio: «Per mandarmi al college i miei genitori hanno speso tutti i soldi che avevano messo da parte per unintera vita, ma io dopo il primo semestre ho capito che non faceva per me. Eppure dovevo ricambiare la loro fiducia: sono rimasto al Reed College solo per seguire il corso di calligrafia, mi piaceva e da lì ho imparato il gusto per leleganza. Dormivo sul pavimento nella casa dei miei amici, vendevo i resi di bottiglia a 5 centesimi per procurarmi da mangiare, intanto cercavo la mia strada. Rimettermi in gioco è stata la scelta migliore che potevo fare». Era il 1972, Jobs aveva 17 anni. Quattro anni più tardi, nel garage di casa, fonderà Apple con Steve Wozniak. «Quando dieci anni dopo aver lasciato il college ho disegnato il primo Macintosh tutta quellesperienza è entata in quel computer».
«Cosa devo dire? Ho mandato via luomo sbagliato» (John Sculley, che licenziò Jobs da Apple nel 1985). Steve Jobs un giorno chiamò un manager della Pepsi Cola: «Vuoi spendere il resto della vita a vendere acqua zuccherata oppure vuoi cambiare il mondo?». Scelta la seconda cosa Sculley entrò in Apple, mentre Jobs restava il guru, limmagine di Apple al pari della mela sbeccata. Il tutto durò fino al 1985, quando proprio Sculley licenziò il Fondatore, luomo delle meraviglie: «A soli 30 anni ero fuori dallazienda che avevo creato, per alcuni mesi fui devastato. Poi un giorno ho capito che non dovevo perdere la fede, la fiducia in me: ho aperto una nuova compagnia, la NeXT, ho creato unaltra azienda la Pixar». La seconda diventerà una delle prime al mondo nel campo dellanimazione digitale, la prima - undici anni dopo - verrà acquistata dalla Apple in difficoltà. E Jobs si riprenderà il ruolo di capo esecutivo, stipendio - ancora oggi - un dollaro al mese. «Se non avessi perso tutto, ora non sarei quello che sono. Tutti noi dobbiamo lottare per quello che amiamo. Il segreto? Mai perdere la fede».
«Quando lo incontriamo in ascensore non sappiamo se avremo ancora il nostro lavoro alla riapertura delle porte» (i dipendenti di Apple dopo il ritorno di Jobs come capo esecutivo nel 1996). Steve Jobs non ama parlare di sé e ancora meno ama che lo facciano gli altri. Per questo quando è uscita «iCon», licona o la truffa, la sua autobiografia non autorizzata insomma, ha mosso gli avvocati e ha fatto togliere dai suoi negozi in giro per il mondo tutti i libri dello stesso editore. In realtà sono almeno 10 i ritratti usciti su di lui: in tutti si parla di sfuriate, di lancio di oggetti contro i dipendenti che rischiano il posto solo per avergli proposto unidea sbagliata, di un controllo assoluto e maniacale sullazienda. Poi però cè limmagine delluomo che rischia sempre, in prima persona, che vive solo dei suoi successi proprio perché con quel dollaro di stipendio. Il resto è percentuale. E poi cè anche la grande rivalità con Bill Gates, stessa età, stesso business, ma diversa missione. E del «nemico» che ha fatto del computer un affare e non una filosofia di vita un giorno Jobs disse: «Gli auguro ogni bene, davvero. Penso solo però che lui e la Microsoft soffrono un po di ristrettezza di vedute. Sarebbe stato più aperto se solo da ragazzo avesse provato una volta lLsd o fosse andato a meditare in India».
«Leconomia musicale non funziona? È perché si paga sempre in anticipo: così i vincitori pagano anche per i perdenti. La chiave è: tu vendi, io ti pago. Più vendi, più guadagni. È lora di smettere di pagare in anticipo» (intervista a Rolling Stone, 2003). Un giorno nasce lIdea: se il futuro è la musica su internet, il futuro sono i lettori musicali. Apple entra nel mercato, Jobs inventa iPod e iTunes, il lettore e il grande negozio virtuale: si clicca, si scarica, si paga meno che nei negozi normali, si sente. Si comincia nel 2003, a luglio di questanno viene festeggiato lacquisto della canzone numero 500.000.000, mentre liPod spopola: il 7 settembre 2005, quando viene presentata la versione «nano», quella da mille canzoni incorporate, in tutto il mondo parte la caccia al gioiello e in diciassette giorni ne vengono venduti un milione di esemplari. Mentre liPod, con tutti i suoi modelli, conquista il 75 per cento del mercato. «Il problema è riuscire a parlare ad una generazione di persone abituate a rubare musica in rete: per loro è una cosa normale, è come viaggiare entro i limiti di velocità in autostrada». Così Jobs cambia le regole, artisti come U2 e Madonna gli affidano il loro archivio, iTunes diventa il primo mercato on line. Ed ora tocca ai video: quelli musicali ma anche puntate di Desperate Housewives o di Lost, le prime due serie tv al mondo. «In fondo è tutto così semplice».
«Nessuno vuole morire, neanche chi vuole andare in Paradiso. Eppure la morte è lunica destinazione che dividiamo» (discorso allUniversità di Stanford, 2005). Un anno fa circa, 7.30 del mattino, studio di un dottore: «Steve, cerca di mettere in ordine le tue cose. Hai sei mesi di tempo, forse meno». Tumore al pancreas, una di quelle cose che non possono succedere ad un uomo di successo. Ma succedono. «Ho cominciato a pensare a mia moglie e a i miei tre figli, a quello che avevo in programma di dire loro in dieci anni e che ora dovevo condensare in pochi mesi». Un giorno, una vita: «Poi il pomeriggio la biopsia, un tubo infilato in gola che passava nel mio stomaco, il dottore che si mette a piangere: Steve, è un caso rarissimo, il tuo cancro è operabile». Così fu, Steve Jobs torna ad essere uomo: «Qualcuno disse: Ogni mattina guardati allo specchio e pensa che quello potrebbe essere il tuo ultimo giorno. Adesso lo faccio, so gustarmi la vita perché so che cosè la morte. È una grande invenzione».
«Lultimo acquisto che mi ha esaltato? Una bicicletta. È meravigliosa» (allApple Expo di Parigi, 2005).
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