Una rete fissa per tutti, ma che gestiscono in pochi

Franco Bernabè siede su un tesoro: la rete di telefonia fissa. Chiunque voglia fare concorrenza a Telecom nel ricco settore dei servizi a banda larga è più o meno costretto a passare per questa infrastruttura.
Con la sola eccezione di Fastweb, che ha realizzato una rete proprietaria ad alta capacità, gli altri operatori hanno la necessità di chiedere all’ex monopolista un passaggio, a pagamento, sulla sua infrastruttura. Questo stato di cose e il presumibile ampliamento della richiesta di servizi a banda larga, fanno sì che la rete debba essere potenziata, sviluppata e messa in grado di reggere la futura domanda.
Come è evidente anche a un bambino le telecomunicazioni nei mercati avanzati diventano così strategiche per lo sviluppo. I cosiddetti servizi a banda larga rappresenteranno per le società di telecomunicazioni ciò che sono stati i telefonini negli anni ’90: fonte di molto reddito, ma anche di concorrenza accesa. Ieri in un’intervista realizzata da Antonella Olivieri sul Sole-24 ore, Bernabè ha sviluppato due concetti fondamentali per capire le strategie che adotterà alla guida di Telecom.
1. Lo sviluppo della rete è fondamentale, ma non si può ricorrere a fondi pubblici. È un grande passo avanti. Si spazzano in questa maniera i desideri del presidente dell’Agcom, Corrado Calabrò, che assumono così un sapore di ultra petita. D’altronde il ministro dell’economia, Giulio Tremonti, nel recuperare risorse per il decreto Ici e straordinari ha tagliato, tra l’altro, 50 milioni di euro che erano proprio destinati alla diffusione della banda larga.
Insomma il mercato faccia il suo compito. Se c’è domanda di banda larga, le aziende investano e i clienti paghino.
2. Nel lungo periodo, dice Bernabé, ci sarà solo un operatore a coprire l’intero territorio. In questo modo sostanzialmente invita i concorrenti (Vodafone, Wind, Fastweb e Bt) a non fare troppa «cagnara» con l’Autorità di regolamentazione (che oggi appare «catturata» dall’ex monopolista) in termini di tariffe e regolamentazione sulla rete. Si tratta di una posizione condivisibile dal punto di vista di Bernabé e dei suoi azionisti. Ma rischioso. La rete Telecom è «innervata» nella società. La separazione a cui si sta pensando è blanda e ad ogni buon conto viene discussa in un rapporto a due tra Telecom-Agcom.
L’ad di Telecom è di fronte a un dilemma: separarsi davvero (financo societariamente) dalla sua preziosa e redditizia infrastruttura o pretendere tariffe concordate che la remunerino adeguatamente. Non può pretendere che la rete si sviluppi tecnologicamente a spese di terzi e nel contempo mantenerne sostanzialmente il controllo.

Quando si dice: «A Telecom un ruolo chiave per lo sviluppo dell’Italia» si rischia di evocare quel triste refrain di consociativismo industriale che recitava: «Ciò che è bene per la Fiat è bene per l’Italia». Non è stato così. E Bernabè si sta giocando una partita delicatissima.

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