Retorica della ricerca

Retorica della ricerca

C’è una polemica al giorno sulle ricerche scientifiche in Italia, sul fatto che si investe poco, sul fatto che le imprese private sono troppo assenti dal mondo della ricerca scientifica e non cooperano a sufficienza con le università. C’è ormai anche una retorica della comunicazione che ad ogni occasione non si stanca di sottolineare che lo sviluppo di una società nasce dalla ricerca. Una verità che, in realtà, è vecchia quanto la storia del mondo, ma che, ripetuta oggi con tanta insistenza, diventa il sintomo di un malessere e non di un proposito virtuoso. E al leit motiv sulla ricerca scientifica si aggiunge il coro sul bisogno di competizione, come se la nostra vita non sia stata da sempre segnata da una ideale gara intellettuale per lo sviluppo delle conoscenze. Così, quando si parla di ricerca, di competitività e di sviluppo l’attenzione non può che essere rivolta alle università, e ciò non da ora, ma fin da quando, nel Medio Evo, si pensò di organizzare e proteggere le intelligenze in quelle strutture che, appunto, si chiamano università degli studi.
Dunque, di nuovo non c’è proprio un bel niente, se non la decadenza della cultura di eccellenza che si forma nelle università con la progressiva massificazione degli studi. Studio di massa che è la giustissima conseguenza dello sviluppo democratico della società, che tuttavia deve prevedere continui correttivi al modello di studio e di ricerca affinché esso non perda di qualità.
In Italia è accaduto invece che il processo di massificazione dell’istruzione universitaria è stato sorvegliato e garantito da un potente apparato burocratico-sindacale, mentre tutto ciò che riguarda la difesa dell’eccellenza degli studi e della ricerca è stato abbandonato a se stesso. E questo perché si tratta di una questione meritocratica, come la definisce l’apparato burocratico-sindacale, che non solo non merita attenzione, ma va apertamente osteggiata, rappresentando una reale minaccia alla massificazione dell’istruzione. Si ricorderà come la parola «meritocrazia» è da decenni ritenuta dalla politica di sinistra e sindacale un vero e proprio insulto alla democrazia.
Ma non è finita qui. I grandi alleati di questo blocco politico-sindacale, che ha osteggiato l’eccellenza e la meritocrazia, sono diventati proprio coloro che avrebbero dovuto sostenere la qualità scientifica della ricerca: cioè i professori universitari e le loro lobby, che hanno costruito proprie posizioni di potere all’interno degli atenei attraverso uno spregiudicato sistema di cooptazione dei nuovi docenti, che se ne infischia della loro preparazione per premiare la loro devozione e servilismo.
È evidente che quando un ministro intelligente è entrato nel palazzo del ministero della Pubblica istruzione, senza passare per le stanze della politica né per quelle della scuola e dell'università, si sia trovato non pochi problemi che il suo semplice buonsenso gli sottoponeva. È evidente che quando il ministro Moratti ha cercato di disarticolare il sistema che univa al potere sindacale le lobby accademiche, abbia trovato fuochi di sbarramento politici trasversali che hanno reso difficile, lento il suo cammino riformatore e, talvolta, necessariamente compromissorio.
Ritorniamo ora a considerare il mondo dell'impresa privata. Come si fa a rimproverarlo del fatto che investe poco nella ricerca universitaria? Perché si pretende che esso butti i soldi dalla finestra? Gli investimenti vanno dove c’è competitività ed eccellenza. E, infatti, se si analizzano i dati, si può facilmente osservare che il governo italiano contribuisce alla ricerca come gli altri Paesi europei: la caduta del finanziamento è nei privati, perché la ricerca in cui essi dovrebbero investire non è competitiva.
E allora, invece di tanti proclami e di tanti lamenti, sia il mondo dell’impresa sia la parte sana del mondo universitario (che esiste, ed è degnamente rappresentata) non devono lasciare solo il ministro a fronteggiare il blocco conservatore sindacale e lobbistico degli atenei.

Devono sostenerlo quando introduce nella legislazione universitaria principi meritocratici, elementi di concorrenza tra le università, criteri di reclutamento dei docenti in base al merito e non in base alle parentele, alle amicizie e al servilismo.

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