Politica

Il retroscena Corruzione, intercettazioni e ricatti: benvenuti nel mondo dei tabloid

LondraSpiano, corrompono, intercettano. Si appostano per mesi, tormentano la preda fino a farla capitolare. Per uno scoop sono pronti a tutto, il loro editore non bada a spese e loro non badano ai danni collaterali. Hanno molto pelo sullo stomaco e non conoscono crisi esistenziali. L’unica cosa importante è la notizia in esclusiva, lo storia sordida, i dettagli e le foto in primo piano. In una parola, loro sono i giornalisti da tabloid.
In Gran Bretagna sono una schiera sempre ben nutrita anche perché i giornali per cui lavorano sono tra i più letti in assoluto. Se chiedi a un inglese se legge il Sun, spesso ti risponderà di no, ma un’occhiatina gli scapperà comunque. Anche se poi ti dirà che non si fida di quello che scrivono, che questi giornali sono solo carta straccia, puoi star certo che il «Camillagate» l’ha seguito eccome, parola per parola, con la lingua fuori. Per gli inglesi tutto ciò che è privato diventa intoccabile quindi il gossip diviene nella loro cultura la forma di trasgressione più alta. Non c’è lettore anglosassone che non si sia appassionato a qualche scandalo reale o agli amori extraconiugali dei politici, la tentazione è troppo forte e il menù fin troppo vario. I giornali inglesi lo sanno e spesso nel tentativo di battere l’avversario si sono spinti oltre il limite della legalità. Adesso che lo scandalo Murdoch è sulla bocca di tutti, tutti negano le proprie responsabilità. Ma che cosa accadeva e continua ad accadere in questi giornali non è più un mistero.
Lo spiega bene Wensley Clarkson nel suo libro «Cane mangia cane: confessioni di un giornalista da tabloid» che per anni ha lavorato nell’industria della stampa scandalistica. Con dovizia di particolari l’autore svela i meccanismi di un lavoro che diventa ossessione e che spesso implica anche la partecipazione diretta delle stesse vittime. «Quello che stiamo scoprendo in questi giorni - racconta - è soltanto la punta dell’iceberg. Finora conoscevamo soltanto una paio di cattivi ragazzi: l’ex reporter dei reali di News of the World Clive Goodman e il suo fedele compare Glenn Mulcaire. Entrambi sono finiti in galera nel 2007 per aver ottenuto illegalmente delle informazioni. Ma i tabloid, non solo News of the World, sono coinvolti nella sorveglianza illegale da decenni. Faccio questo mestiere da quando avevo vent’anni e confesso di essere stato coinvolto in una marea di azioni di spionaggio illegale».
All’inizio, negli anni Settanta, si trattava di cosine innocenti. Si pagava un poliziotto 50 sterline perché controllasse a chi apparteneva quel numero di targa, ma certo dietro non c’erano grandi storie. È nei primi anni Ottanta che la competizione diventa sempre più dura e che i giornalisti vengono incoraggiati a fare di tutto pur di ottenere l’esclusiva. «Così un giorno fummo felici di pagare un funzionario di polizia che sembrava avere le prove del fatto che il principe Carlo si incontrava in segreto sul treno con la sua fidanzata Lady Diana - racconta ancora Clarkson -. Erano anni pazzi. Ricordo ancora tutte le volte che mi sono precipitato davanti alla casa di qualcuno per intervistarlo soltanto per scoprire un collega che mi aveva battuto sul tempo. A quei tempi venivamo pagati proprio per queste “sorveglianze in incognito” e se ne parlava abbastanza apertamente. E l’obiettivo di ogni giornale era far funzionare la storia a tutti i costi. Non importava quanto dovessimo forzarla». E naturalmente ogni mezzo era giustificato dal fine. «Ho usato esperti di sorveglianza elettronica per spiare attori - confessa il reporter - ho messo cimici dove mi era possibile per scoprire una storia di prostituzione all’interno di una prigione».
Negli Anni Novanta la concorrenza gioca il tutto per tutto, spende un sacco di soldi in investigatori privati. Tanto il successo di scoop come il «Camillagate» li ripaga tutti. E alla fine anche quello che non si sa si ottiene giocando sporco. «Si diceva alla vittima quello che si era riusciti a scoprire - conclude Clarkson - offrendgli una via d’uscita soft. Per esempio se uno faceva uso di droga, gli si offriva un’intervista in esclusiva con una confessione a cuore aperto.

Quasi sempre ci cascavano».

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