Il retroscena Così l’oro blu ha deciso le primarie Pd in Puglia

È trasparente, incolore e inodore. Eppure l'acqua pesa, e tanto. Abbastanza da influenzare destini politici. Il caso Puglia, per chi ha voglia di scavalcare la barriera delle posizioni ufficiali e farsi qualche domanda in più, la dice lunga. Sono in tanti a pensare che le primarie del Pd, non fosse stato per l'acqua, non si sarebbero mai tenute. Il punto è che l'oro blu pugliese sta a cuore, molto a cuore, non solo ai centri di potere baresi, ma anche a quelli romani. Tavoli che contano, dove l'economia e la politica siedono a fianco a fianco. Dove dalemiani e casiniani possono convivere, d’amore e d’accordo.
Vediamo perché. Nel tacco d'Italia la gestione di acquedotti e rubinetti è affidata a un'unica grande azienda, l'Acquedotto pugliese, nato nel 1905 e presto diventato un grande carrozzone. Che il governo D’Alema trasforma nel ’99 in una società per azioni. E quello Berlusconi cede alla Regione e tenta di avviare a privatizzazione. Ma il processo si ferma con l’elezione di Vendola. Il governatore comunista, prima della fine del suo mandato, annuncia la svolta in direzione di «più Stato, meno mercato». L’Aqp è già in mano pubblica, ma Vendola sbandiera la «ripubblicizzazione», basta insomma con la Spa, l’Acquedotto pugliese tornerà ente pubblico come nel 1905. Che basti a migliorare la gestione resta in forte dubbio, visto che la storia dell’Aqp è costellata di enormi sprechi, opere incompiute o realizzate in tempi ultradecennali (come la Diga di Pappadai o la Traversa del Sarmento), scandali per le assunzioni clientelari, disservizi.
Per Vendola però è un bel cavallo di battaglia, visto che il Paese ribolle di proteste per l’aumento delle tariffe dell’acqua e la Puglia stessa è diventata la regione con la bolletta più salata d’Italia: 311 euro in media a famiglia. La stessa amministrazione Vendola è costretta ad annunciare aumenti. La ripubblicizzazione è un bello slogan da vendere ai pugliesi inferociti.
Ma c’è un ma. Qualcuno ha già fatto la bocca all’affare acquedotto pugliese. Un’azienda che disseta 4,6 milioni di persone significa anni di introiti assicurati. L’Acea di Roma è già in pista. L’ex municipalizzata controllata dal Comune di Roma, è legata da un patto di ferro (con tanto di sanzione da parte dell’Antitrust nel 2007) alla francese Suez e ha come azionista forte il gruppo Caltagirone. Già proprio quello dell’imprenditore suocero di Pierferdinando Casini. A novembre dell’anno scorso la Santa alleanza si rafforza con l’ingresso nel Cda di Acea di Andrea Peruzy, segretario generale della Fondazione italiani europei, mentre l’amministratore delegato è Marco Staderini, già longa manus dell’Udc nel consiglio d’amministrazione della Rai.
Un matrimonio d’acqua tra dalemiani e casiniani che avrebbe avuto un peso determinante nella decisione dell’anima con baffino del Pd di provare a disarcionare Vendola, l’unico candidato che Casini (e Caltagirone) non vorrebbero mai vedere in Regione.

Il Pd però all’Udc ci tiene e manda in campo Francesco Boccia, favorevole «all’apertura al privato» dell’Acquedotto pugliese, per cercare, invano, di fermare Vendola. Una manovra che a molti era parsa inspiegabile, se non si tiene conto dell’affaire acqua. Ma gli elettori del Pd non se la sono bevuta.

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