Il retroscena Così la Russia ha lanciato un salvagente a Muammar

L’uscita d'emergenza era spalancata e il rais che tutto è, ma non un suicida, l'ha imboccata al volo. La clausola che rischia di bloccare l'intervento armato e garantire la sopravvivenza politica e fisica di Muammar Gheddafi troneggia al punto 1 della risoluzione votata giovedì notte dal Consiglio di Sicurezza. Quel primo paragrafo lo spiega testualmente. «Le Nazioni Unite chiedono l’immediata definizione di un cessate il fuoco e una completa fine della violenza e di tutti gli attacchi e gli abusi ai danni dei civili».
A piazzar lì quell’ultimo salvagente ci han pensato i russi. Potevano brandire l’arma del veto, tracheggiare, tirar tardi, rallentare per giorni l’approvazione di una «no fly zone» che il ministro degli esteri Sergei Lavrov aveva già definito «superflua e pericolosa ingerenza». Invece si son fatti furbi. Stufi di passar per i paladini dei dittatori han condizionato il sì all’inserimento di quella formuletta sul cessate il fuoco. I maligni penseranno ad un accordo sottobanco con il rais, noi notiamo soltanto (e da giorni lo scriviamo) che Muammar Gheddafi è alla ricerca di una via d'uscita «politica» capace di evitargli un epilogo «iracheno». Mosca gliel’ha offerta su un piatto d’argento. Certo tra l’auto-dichiarare il «cessate il fuoco» ed evitare le bombe c’è di mezzo il mare. Anche perché significa arrestare anzitempo l’offensiva su Misurata, dove gli insorti controllano ancora qualche sacca di resistenza, e bloccare la corsa verso Tobruk indispensabile per sigillare quella frontiera egiziana da cui stanno transitando misteriosi carichi d'armi destinati ai ribelli.
Ma il Beduino di Tripoli non ha fretta. Il Muammar sopravvissuto a mille intrighi conosce a menadito l’arte della sopravvivenza, sa che un bivio tra politica e guerra è la via migliore per spiazzare le fragili coscienze occidentali. Soprattutto se a guidarle c’è un Barack Obama troppo indaffarato con i guai afghani per permettersi il lusso di un’altra avventura militare. Soprattutto se il campo interventista resta diviso tra la frenesia anti-gheddafiana di una Francia decisa a sganciar le prime bombe entro poche ore e l’attendismo di un Pentagono che preferirebbe un avvio più lento, preceduto da un accordo capace di coinvolgere anche le aviazioni della Lega Araba. Il Colonnello lo intuisce e con quel cessate il fuoco buttato sul tavolo subito dopo l’approvazione della «no fly zone» punta innanzitutto a spiazzare il bellicoso Nicolas Sarkozy e la sua promessa d’intervento immediato. Il gioco in queste ore sembra quasi riuscito. Il ministro degli esteri francese Alain Juppè già condiziona ogni decisone alle decisioni del summit sulla Libia convocato per domani a Parigi. Un vertice a cui parteciperanno non solo l'Unione Europea, l’Onu e la Lega Araba, ma anche molti paesi africani amici di Gheddafi. Insomma un classico vertice dell’attendismo internazionale, un summit che sembra studiato apposta per darsi la zappa sui piedi. Disinnescata la Francia conquistarsi la remissione del resto del pianeta sarà un gioco da ragazzi. Del resto se si escludono Londra e Parigi nessuno in Europa sembra ansioso di morire per Bengasi. Non certo la Germania di Angela Merkel alle prese con grossi ed imminenti guai elettoral-nucleari. Non certo la nostra Italia costretta, in un eventuale dopo Gheddafi, a cercarsi complesse alternative energetiche. Dunque la partita è tutta legata a quel cessate il fuoco.
Se nelle prossime 48 ore la Francia non riuscirà a dimostrare il «bluff» del rais e a convincere gli alleati i Tornado e i Mirage resteranno a terra e la partita libica si avvierà allo stallo. Ovviamente gli insorti di Misurata e Bengasi possono provocare le truppe governative, ma visti i loro limitati margini di movimento e la loro scarsa incisività militare il Colonnello può far buon viso a cattivo gioco accettando d’incassare qualche colpo nel nome della propria sopravvivenza. Anche perché vincere su tutta la linea non è né utile, né indispensabile. Il secondo punto della mozione dell’Onu sottolinea la «necessità di trovare una soluzione alle legittime domande delle popolazioni libiche» e prevede l’invio in Libia di un rappresentante dell’Onu e dell’Unione africana per facilitare il dialogo e negoziare riforme.
La sopravvivenza di un gruppo di ribelli a cui offrire un’amnistia ed un dialogo politico fa, insomma, il gioco del rais che - stabilità l’effettività del cessate il fuoco - potrebbe già invocare il passaggio alla fase due.

Certo sopravvivere con una «no fly zone» sul capo non è facile, ma il «cane matto» di Tripoli è già sfuggito alle bombe di Reagan, a decine di complotti e a 11 anni di sanzioni. Può salvarsi anche stavolta. Soprattutto se a invocare l'intervento resta solo la Francia di Sarkò.

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