Il retroscena Dietro la candidatura i guru di Di Pietro

Roma«Ci mancava solo Beppe Grillo». Sospiri, sorrisini a denti stretti, ma anche qualche «vaffa», tanto per rimanere in tema. Perché se la parola d’ordine, ai piani alti, fa rima con «sminuire la vicenda», con l’intento di derubricarla a semplice «boutade», è la reazione stizzita di alcuni big a far riflettere. Perché oggi, chiarito che il Pd non può essere scambiato per taxi, autobus o tram - per dirla alla Fassino, Bersani o Melandri - la domanda nasce spontanea. E parte, beffarda, da un ex margheritino di lungo corso: «E se fosse invece un calesse, visto che di spifferi e correnti siamo ancora pieni?».
Veicolo a trazione o meno, ciò che inquieta è ben altro. «Avevamo già i nostri bei grattacapi, con la corsa “velenosa” alla segreteria e adesso si ripropone lo stesso schema». Quale schema? Semplice, quello messo in campo a suo tempo, sempre in chiave primarie, da Antonio Di Pietro. Vi ricordate, quando fu estromesso anzitempo dalla corsa, vinta poi da Walter Veltroni, il dibattito infinito su agenzie, giornali e web? Insomma, «la storia si ripete», è il lapidario commento di chi ricorda bene quei momenti. E che invita a voltare lo sguardo pure verso la Rete. Ovvero, alla strategia simile, che coglie di nuovo impreparato il vertice del partito, messa in campo dagli stessi registi. Quelli della Casaleggio associati, che gestiscono - notizia già nota - siti e blog di Grillo e, guarda caso, pure di Di Pietro. Una «sinergia» che punta a ottenere il massimo del risultato - giorni e giorni di ritorno mediatico - col minimo sforzo.
«Basterebbe ignorare la questione, ma a noi piace soffrire», ammette laconico un parlamentare un tempo di casa nei Ds. Come dire, non arrovelliamoci su chi sia il mandante (Di Pietro, per Follini e la maggioranza dei democratici), ma mandiamolo noi da qualche parte. Non la pensa così di certo Mario Adinolfi, uno dei quattro candidati ufficiali, che dice «basta al castello blindato, con i suoi bei ponti levatoi». E «invece di difendere il fortino, anche Bersani e Franceschini dovrebbero accettare la sfida». Anche se si cela dietro Di Pietro? «Appunto per questo dobbiamo affrontarlo, per inglobare tutti, come faceva un tempo la Dc». Ma al di là dell’auspicio, non andrà così. «Finirà che non lo faranno candidare, sbagliando», taglia corto Adinolfi.
Ma non si può fare diversamente. D’altronde, sottolinea Renzo Lusetti, «tutti sanno che Grillo non è del Pd, non prendiamoci in giro». E col sorriso, chiosa: «Siamo arrivati al punto più basso». Chissà. Per Roberto Giachetti, «rischiamo di parlarne per i prossimi due mesi». Di certo, trattasi di «provocazione» pure per Silvio Sircana. Per nulla convinto però che vada assecondata.

«Quando qualcuno tenta di prenderti in giro, ci sono molti modi per replicare: non sentirlo, fare una battuta o sentirsi offesi», aggiunge il senatore, del parere che «le provocazioni non si accettano». In ogni caso, l’ex portavoce di Romano Prodi una certezza ce l’ha: «Di Pietro non è il mandante di Grillo, che non ne ha bisogno. Semmai, può essere l’incassante...».

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