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Il retroscena E Palazzo Chigi ora teme un «inverno caldo»

RomaPiù d’uno a Palazzo Chigi guarda con una certa preoccupazione all’escalation di piazza che si prepara per novembre e dicembre. Un «inverno caldo» che impatterà sulla recessione economica, con il rischio di diventare giorno dopo giorno una «miccia pericolosa». Perché se è vero che la manifestazione sulla scuola di giovedì è stata assolutamente pacifica e senza la più piccola sbavatura, non possono passare inosservati i segnali arrivati mercoledì da piazza Navona. Soprattutto in vista degli scioperi generali indetti dalla Cgil per dicembre, prima con il pubblico impiego e poi con i metalmeccanici.
Una situazione dunque «a rischio», perché alla protesta dei giovani sulla scuola si accavalla quella che vede in prima fila la Cgil proprio in un periodo in cui la recessione rischia di farsi sentire e diventare un focolaio critico. Soprattutto, si ragiona a Palazzo Chigi, perché la piazza è completamente fuori controllo rispetto alla politica. Che per certi versi può essere un bene ma per altri può essere un problema. Il punto, ha concordato anche Silvio Berlusconi in alcune conversazioni private delle ultime ore, è che «Veltroni è così debole» da essere «costretto a inseguire la protesta» per evitare di diventarne vittima. Un ragionamento che a modo loro hanno fatto anche alcuni suoi compagni di partito, da Massimo D’Alema a Piero Fassino, che non hanno nascosto perplessità sulla scelta dipietrista di cavalcare il referendum anti-Gelmini. Così, non sorprende che pure Francesco Rutelli si sfili, al punto non solo di predicar cautela sulla raccolta di firme, ma arrivando persino a spingersi apertis verbis nella direzione politica opposta rispetto a quella cui guarda Veltroni negli ultimi tempi. Insomma, altro che Antonio Di Pietro, «oggi l’unico interlocutore del Pd è il centro».
Il leader del Pd, dunque, si ritrova a rincorrere la piazza, da quella dipietrista a quella della Cgil fino ai cortei studenteschi. Senza una strategia definita e, nota più d’uno nell’entourage del premier, «senza regia». Il problema, insomma, rischia di essere la mancanza di un partito di riferimento in grado di catalizzare (e quindi almeno parzialmente «controllare») la protesta. La stagione del ’68 - è stato fatto notare a Berlusconi con tutte le cautele del caso, visto che per molti versi il paragone è fuorviante - sfociò nel terrorismo nonostante la presenza di un Pci decisamente solido e strutturalmente collocato all’interno del panorama politico italiano. Certo, oggi la situazione del Paese è decisamente diversa (basti guardare come sono cambiati da allora gli equilibri europei) ma il fatto che il contesto sia diametralmente rovesciato rispetto agli anni ’70 - è stato il ragionamento fatto a Palazzo Chigi - «richiede comunque cautela».

Anche e soprattutto perché il mondo che Veltroni rincorre - giovani e meno giovani - non solo non lo segue ma arriva persino a snobbarlo. Con la crisi economica che incombe, insomma, la tentazione di cavalcare la protesta di piazza da parte di chi non è in grado di controllarla non è escluso che porti a «reazioni imprevedibili».

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