Il retroscena E il superministro minacciò lo «sciopero bianco»

Roma«Giulio mi ha detto che farà lo sciopero bianco. Che è pronto a non firmare più un decreto, compreso quello sullo Sviluppo, a meno che io non faccia una dichiarazione pubblica in cui lo indico come mio successore. E secondo lui devo anche smorzare i toni e gli entusiasmi su Alfano. Vuole una presa di posizione forte». La road map del cessate il fuoco Berlusconi l’aveva raccontata qualche giorno fa in privato, quando con alcuni collaboratori aveva snocciolato una ad una le «richieste» di Tremonti. Tutti punti su cui il ministro dell’Economia è stato chiaro anche martedì sera, quando durante la cena con il premier a Palazzo Grazioli è tornato ad insistere sulla questione minacciando per l’ennesima volta le dimissioni proprio alla vigilia del Consiglio dei ministri che questa mattina dovrebbe varare l’atteso decreto sullo Sviluppo.
Così, alla fine il Cavaliere decide di cedere alla ragion di Stato e in un’intervista a Porta a Porta mette il sigillo su quella che dovrebbe essere se non un armistizio quantomeno una tregua. Un’investitura, quella di Tremonti, che peraltro non è a costo zero visto che nel Pdl la notizia viene accolta con lo stesso entusiasmo con cui i giapponesi hanno vissuto l’arrivo dello tsunami. Tanto che i commenti più appassionati si limitano a un «se lo ha detto Berlusconi va bene» (Alfano e Meloni, gli unici due ad esporsi pubblicamente). Per il resto, silenzio di tomba. Visto che non è affatto un mistero che i rapporti tra il ministro dell’Economia, il resto del governo e i vertici del Pdl non siano certamente idilliaci. Tanto che ancora ieri mattina lo stesso Cavaliere - ed alcuni ministri di peso - si lamentavano del fatto che Tremonti non gli avesse ancora fatto vedere il testo del decreto sul Sviluppo. Il solito film, insomma. Con la Lega che continua ad essere l’unica vera sponda politica del ministro dell’Economia, presente ieri sera alla cena della riappacificazione tra Berlusconi, Bossi e i vertici del Carroccio.
In vista delle amministrative, dunque, il Cavaliere continua a seguire la via della prudenza e della mediazione e cerca di disinnescare la miccia che nell’ultima settimana si era accesa proprio sull’asse Lega-Tremonti. Il redde rationem, dunque, è rimandato a dopo il voto. Quando anche nel Pdl si rischiano sommovimenti. Argomento, questo, al centro degli oltre venti minuti di colloquio tra Tremonti e Scajola nel cortile di Montecitorio. Uno scambio piuttosto freddo, visto che il titolare dell’Economia non ha gradito la posizione dell’ex ministro dello Sviluppo economico e di alcuni suoi uomini sul decreto antiscalate (decreto che peraltro, lo stesso Tremonti lo ha confidato in privato, più che Parmalat ha come obiettivo la scalata della francese Edf a Edison). Scajola, però, affonda colpi soprattutto sul partito definito un vero e proprio caos (anche se l’espressione usata è in realtà decisamente più colorita).

«Dopo le elezioni ma prima dell’estate - dice a Tremonti - va messo mano al Pdl perché non si può più andare avanti con Lega e Responsabili che ottengono qualsiasi cosa chiedono». Il ministro dell’Economia si sarebbe limitato a qualche silenzioso ma distaccato gesto di assenso.

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