Il retroscena Con i fatti il premier ha lasciato i corvi a bocca asciutta

nostro inviato all’Aquila

La sintesi la fa un ministro molto vicino al Cavaliere. Che, a dir la verità, all'Aquila non c'era e il G8 - conferenza stampa finale inclusa - l'ha seguito in televisione e sui giornali. «Vabbè - dice quasi sollevato quando ormai sono le otto di sera - evidentemente abbiamo scherzato per due mesi. D'altra parte, sai che noia sarebbe stato questo summit...». E già, perché a tirare il bilancio della tre giorni abruzzese, è davvero difficile sostenere che Silvio Berlusconi non abbia portato a casa un successo al di là di ogni attesa.
È lui il primo a dirlo, certo. Ma lo seguono in coro tutti i protagonisti del G8 spendendosi in elogi e complimenti non solo per l'organizzazione del summit ma pure per come il premier italiano l'ha condotto. Giovedì è toccato a Brown, Sarkozy e Hu Jintao (per bocca dei suoi sherpa), ieri a Obama («ringrazio Berlusconi per la straordinaria ospitalità»), Medvedev e al premier canadese Harper (il Cavaliere «ha dimostrato di essere in gran forma, vista la sua energia non si direbbe che abbia superato i 70 anni»). Il diretto interessato, ovviamente, gongola. Affaticato dalla tre giorni e dalla vigilia passata a testa bassa sui diversi dossier, ma decisamente soddisfatto per il bilancio finale. «Un successo», dice in conferenza stampa. «La risposta dei fatti ai troppi uccelli del malaugurio...», chiosa a sera con i suoi collaboratori sulla strada per Roma.
Già, perché la vittoria di Berlusconi sta soprattutto nella tanto attesa conferenza stampa finale del G8. Attesa perché per settimane abbiamo letto che la libera stampa - ovviamente quella estera - era pronta al redde rationem e a mettere il premier davanti alla sue responsabilità. Ebbene, dieci e passa domande e non s'è vista l'ombra delle autorevoli testate di cui tanto abbiamo dibattuto in questi giorni. Per dirla con la battuta di un giornalista italiano, «ma El País dove è finito?». Già, perché il Cavaliere s'è davvero concesso ai giornalisti. Nessuna lista delle testate iscritte a far domande, come sempre accade con i primi ministri di qualsiasi Paese, ma solo due file spontanee davanti ai microfoni. Tanto che la terza domanda arriva da un collega del Manifesto e la quinta dal corrispondente di Bloomberg con cui il Cavaliere ebbe un durissimo botta e risposta a Bruxelles qualche mese fa. Insomma, davvero difficile sostenere ci fosse qualcosa di pilotato. D'altra parte, dopo le polemiche di mercoledì sull'assenza di domande durante il briefing serale, sul punto Berlusconi era stato chiaro nonostante le perplessità di chi nel suo staff temeva quesiti imbarazzanti: «Mi metterò a disposizione e basta». Doveva essere la disfida planetaria tra Berlusconi e la stampa internazionale che finalmente gli avrebbe chiesto conto della sua vita spericolata e invece niente.
D'altra parte a farsi beffe della grande attesa sono gli stessi leader riuniti all'Aquila. Sintomatico un siparietto tra Taro Aso, la Merkel e Berlusconi. Con il primo ministro giapponese che rivolgendosi al Cavaliere durante una delle sessioni di lavoro ironizza sul fatto che non abbia mai invitato il cancelliere tedesco - unica donna al tavolo dei grandi - a Villa Certosa. Si ride. E il presidente del Consiglio replica dicendo che il buon retiro di Porto Rotondo è aperto a tutti. Anche la politica internazionale, dunque, sembra derubricare le polemiche degli ultimi mesi con l'ironia. E pure il canadese Harper sorride quando ammette di avere «tante debolezze come Berlusconi».
La tre giorni dell'Aquila, dunque, si chiude come aveva pronosticato il Cavaliere. Durante le lunghe maratone con gli sherpa della scorsa settimana, infatti, più volte il premier aveva replicato ai timori dei suoi collaboratori dicendosi sicuro del successo. Quasi una sceneggiatura a parti invertite, con Berlusconi a tranquillizzare il suo staff e non il contrario. Alla fine, dunque, è andata. Anche se il presidente del Consiglio sa bene che da oggi va in soffitta la tregua chiesta da Napolitano e l'opposizione tornerà sugli scudi. Per questo non ha voluto lanciare alcun assist al Pd nonostante il copione e il clima lo rendessero plausibile e legittimo.

Perché, spiega ai suoi quando è ormai rientrato a Palazzo Grazioli, «so bene che da domani torneranno a spararmi addosso». Anche se, è la convinzione di tutti a Palazzo Chigi, «dopo questa tre giorni il premier è decisamente più in sella che mai».

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