Il retroscena Di Pietro vuole «fare lo Spadolini»

La linea del dopo Walter, Di Pietro l’ha dettata subito, a cadavere ancora caldo. «La vera opposizione siamo noi, unica alternativa alla dittatura sudamericana del premier». Lo sfaldamento del Pd, nei piani (o meglio, nelle ambizioni smisurate di Tonino), è l’inizio di una nuova fase per l’Idv, da partitino di piazza a principale partito d’opposizione. Lo ha confidato ai suoi, Di Pietro, nella riunione dopo la caduta di Veltroni, paragonando la sua occasione storica a quella di Giovanni Spadolini, a capo di un partito (il Pri) non confrontabile con i principali (allora Dc e Psi, oggi Pdl e Pd), ma che riuscì lo stesso, in una congiuntura politica favorevole, a diventare l’ago della bilancia e il suo leader presidente del Consiglio. Di Pietro nuovo Spadolini a Palazzo Chigi? Ci vuole una notevole immaginazione per pensarlo. Ma l’orizzonte che si è aperto per il leader Idv con la crisi del Pd comprende anche questa ipotesi, e la tornata elettorale alle porte (amministrative e europee) si profila come il primo appuntamento per dimostrare che i sogni di gloria potrebbero essere meno vani di quanto sembri. Con molte speranze, ma anche molti dubbi. Il risultato sardo, per esempio, è stato sotto le aspettative dei vertici Idv. Perché se il Pd ha perso dieci punti, il partito di Tonino ne ha guadagnato solo uno (circa il 5%). Significa che il travaso di elettori da Veltroni a Di Pietro non è né automatico né scontato. Vero è che la Sardegna è un po’ caso a parte. Molti nel partito attribuiscono il mancato successo di Di Pietro (che nei sondaggi nazionali vola al 10% e oltre) nell’isola alla poca incisività del coordinatore regionale Idv Federico Palomba, ex magistrato di 71 anni, poca dimestichezza con la piazza e col nuovo elettorato di Di Pietro: i girotondini, i delusi del Pd troppo morbido col governo, la sinistra radicale.
Di Pietro ufficialmente dirà che l’alleanza col Pd, mai veramente compiuta, va conservata. Ma l’idea è ben diversa. L’Idv continuerà a lavorare ai fianchi il Pd, con un’alleanza «competitiva» come dicono - eufemisticamente - alcuni deputati di Di Pietro. Ma dove il Pd cede l’Idv è pronto a cannibalizzarlo, e a correre anche da solo. In Campania, alle amministrative di giugno con cui verranno rinnovati i consigli provinciali di Napoli, Casera e Avellino, l’Idv correrà da solo. La Campania, nel tracollo generale del Pd, è il punto più basso. Lì Di Pietro pensa di poter diventare forza di maggioranza e prendere in mano almeno una delle tre Provincie. Un esperimento locale di una strategia che Di Pietro sta studiando a livello nazionale. Cavalcando sempre più i temi che finora, nello sgomitamento col Pd, lo hanno premiato: il giustizialismo, lo scontro duro con il governo, gli allarmi su presunti totalitarismi argentini o cileni (ma ha spaziato anche nel continente africano) alle porte. Basta vedere le uscite degli ultimi due giorni di Di Pietro e dei suoi fidati, sempre sulla giustizia, sul processo Mills, sul decreto intercettazioni. Il giustizialismo come clava per scalzare il Pd. Dalla sua Tonino ha guadagnato un ex critico del partito, il deputato Pancho Pardi, che si è iscritto all’Idv (prima era un «esterno»). Ma se guadagna molto, perde anche.

Perde ancora pezzi in Campania. L’altro giorno si è autosospeso l’assessore alla Legalità della provincia di Caserta, Domenico Napolitano, Idv, un illustre primario che ora contesta il partito. La fortezza di Tonino ha già molte crepe.

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