Il retroscena Quel sorriso di circostanza tra le banche e l’esecutivo

EREDITÀ Il colpo a vuoto della mancata sottoscrizione dei «Tremonti-bond» continuerà ad avere un peso

Si può anche far finta che d’ora in poi il rapporto tra le grandi banche e il ministero dell’Economia filerà liscio come l’olio. Ieri sembrava di assistere alla Yalta della finanza. Dietro al tavolo Giulio Tremonti, «l’aggressore», a braccetto con Profumo e Passera, «i vinti». In mezzo il trofeo: l’aiuto alle piccole imprese. Sì, si può far finta che le cose stiano così. Si può ritenere che la mediazione, abilissima, di Fabrizio Palenzona, vicepresidente di Unicredit, sia evoluta passando da un rapporto privilegiato con Gianni Letta ad un nuovo girone di abbracci con Tremonti. Si può sperare che le banche riprovino a parlare un po’ di inglese, a fare un po’ di utili con la speculazione senza doversene vergognare: e cioè prendendo la liquidità a breve praticamente a zero e reimpiegandola con profitto su titoli a scadenza un po’ più lunga (chi non vuol farsi capire lo chiama carry trade). Insomma possiamo partecipare tutti al grande abbraccio collettivo. Ma oltre un certo limite non possiamo prenderci per i fondelli. In questo momento parliamo di politica: di quale sarà il rapporto di forza tra grandi banche e governo nei prossimi mesi. I sorrisi di ieri sono uno stop: il percorso di gara è ancora lungo. Si tratta di una semplice tregua.
Facciamo così un passo indietro. All’inizio del gabinetto Berlusconi le cose sembravano essere partite per il verso giusto. Fu Intesa a compiere il miracolo Alitalia (non vi è un giudizio di valore sulla bontà della soluzione, ma sulla capacità di portare il progetto a termine): se Passera avesse fallito sarebbero stati Tremonti a Grilli a portare i libri in tribunale dell’azienda insolvente. Non certo un bel biglietto da visita per un governo appena insediato. La banca milanese toglie le castagne dal fuoco a Berlusconi e con ciò immagina di aver stipulato un’assicurazione. La banca di sistema sembrava aver fatto dimenticare l’origine, per così dire, prodiana del 99,9 per cento della sua alta dirigenza. E tutto sommato anche Unicredit sembrava più un gigante interessato all’indice Roe (a proposito qualcuno si ricorda di questa fissazione?) che alla vicende della politica italiana. La crisi della finanza cambia le carte in tavola. Chi conosce bene Tremonti liquida la «furia contro le banche» come figlia di un’impostazione ideologica: «meglio la polenta del cus cus», meglio i piccoli, i locali rispetto ai grandi e globalizzati. Insomma chi sta vicino a Tremonti ritiene genuinamente politica ed ideologica la fase dura di critica al sistema bancario italiano
Certo non debbono aver contribuito a rendere idilliaco il clima le velleità governative che il tam tam di palazzo attribuiva a Passera. Così come la coincidenza del rinnovo delle cariche di Profumo con i suoi passi falsi nella comunicazione della situazione Unicredit è occasione troppo ghiotta per condizionare le scelte di vertice. Tutto questo è vero, e anche se non lo fosse è stato percepito come tale. Ma dicevamo la crisi nei rapporti non è finita. Il colpo a vuoto dei Tremonti bond, che avrebbe permesso all’esecutivo di mettere bocca nelle decisioni della magnifica coppia e in ultima istanza del mercato, continuerà a pesare. Così come una fiscalità che resta piuttosto penalizzante per le banche italiane.

La Robin tax, introdotta da Tremonti, costringe a tassare la loro materia prima in modo inefficiente e l’eterno (18 anni) periodo di ammortamento delle perdite su crediti dispiegherà il suo effetto malefico nei prossimi bilanci, che saranno inevitabilmente gravati da cattivo credito.
Ieri hanno tutti sorriso. Ma rischia di essere un sorriso di circostanza.

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