Il retroscena Su giustizia e Pdl sintonia tra Fini e il Cavaliere

Roma«Hanno parlato solo di Pdl». Il ritornello inizia a girare quasi subito, non appena il premier lascia Montecitorio, dopo novanta minuti di faccia a faccia con il padrone di casa. Pronto a confermare in prima persona il refrain. Ma basta attendere un po’, e andare al di là della linea comune fatta trapelare dai rispettivi staff, per capire che il menu politico del pranzo non prevedeva una singola portata. E così, Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini premono sì sull’acceleratore per evitare «slittamenti» sul battesimo del partito unico, ma provano pure a sciogliere il nodo intercettazioni. Argomento sensibile, che ha fatto registrare non poche distorsioni tra Forza Italia e Alleanza nazionale.
Sul tappeto, le norme che limitano il loro uso alla presenza di gravi indizi di colpevolezza e le sanzioni verso i giornalisti. Punti su cui il presidente della Camera invita il Cavaliere a «non irrigidirsi», auspicando un «testo condiviso da parte della maggioranza», attraverso una «approfondita discussione parlamentare». Una linea in buona parte condivisa dal presidente del Consiglio, che non ha alcuna intenzione di alzare le barricate, purché sia garantita una condizione: «Porre fine all’abuso». Per il premier, dunque, si può discutere nel merito - come ha fatto in serata il gruppo parlamentare del Pdl, alla presenza del Guardasigilli Angelino Alfano e del reggente di An, Ignazio La Russa - purché il risultato sia in linea con l’obiettivo.
Insomma, si prova a mediare. E adesso, raccontano, «le posizioni dei due leader sono più vicine». Discorso a parte merita invece l’ipotesi del voto di fiducia al disegno di legge. Nessuno, con certezza, riesce a dipanare la matassa, anche se al momento in pochi sembrano scommettere per il «sì». «Credo di no», si limita a commentare in Transatlantico l’azzurro Niccolò Ghedini. «Non sento aria di fiducia», aggiunge Italo Bocchino, esponente di An. Fini, che considera lo strumento «legittimo», anche se non il «migliore», politicamente parlando, non si sbilancia: «Non si commentano le ipotesi, il ddl sarà in Aula tra 10-15 giorni e ci penseremo al momento». Come dire, prima il dibattito, poi, con un testo condiviso, si vedrà.
Messa da parte la questione, i due si soffermano a lungo sulla road-map da seguire per far nascere il Popolo della libertà. Entrambi, anche se a parlare in pubblico è solo Fini, concordano sulla necessità di «accelerare» per un «cambio di passo», anche perché «i tempi sono stretti». In pratica, vanno definite presto e nei dettagli le questioni tecniche, a scelte politiche già avvenute, per protocollare lo Statuto che sancirà regole, cariche e tempi della vita organizzativa del partito: compresa la partita a tratti spinosa dei coordinatori regionali (14 a Fi, 6 ad An).
Dal Pdl alle nomine Rai (breve passaggio) e ai rapporti con l’opposizione. «Abbiamo la maggioranza e il dovere di andare avanti, decidere e governare», ribadisce il premier, dinanzi al «duro» avvio del neo-segretario Pd, Dario Franceschini. Fini non obietta, pur ricordando l’importanza del dialogo tra i due schieramenti.

Cinquantatrè parlamentari del Pdl, nel frattempo, sottoscrivono un documento in cui esprimono dubbi sul testo del ddl Calabrò sul testamento biologico, in discussione alla commissione Sanità del Senato. Un altro fronte caldo, su cui Fini e Berlusconi, dopo le posizioni discordanti avute sul caso Eluana, preferiscono non intervenire.

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