Il retroscena Verso le amministrative quante «scaramucce» tra Pdl e Lega

RomaNegano tutti, a taccuini aperti, senza distinzione di casacca. «Non ci sono divisioni, spaccature, divergenze». Semmai, «scaramucce». Sarà. Eppure, mercoledì sera il governo è stato battuto tre volte in aula sul ddl sicurezza, per mano di sei senatori del Pdl (campani?), franchi tiratori e lesti a sgambettare gli alleati del Carroccio. Un chiaro messaggio - è l’interpretazione ricorrente a Palazzo Madama - inviato a chi si vanta di essere «cattivo» contro gli immigrati, a chi si prende il merito delle buone cose fatte dal governo, per poi sbandierarle al popolo padano.
Quindi, «piccole schermaglie». Eppure, ieri mattina il Pdl si è spaccato in commissione Giustizia, stavolta a Montecitorio, sul nodo intercettazioni. Con i distinguo dell’azzurro Luigi Vitali e dell’aennino Manlio Contento, pronti a presentare sub-emendamenti agli emendamenti del governo che ricalcano l’accordo di maggioranza, annunciato a più riprese dal premier. Un assist all’opposizione, che abbandona i lavori, contestando pure l’assenza del sottosegretario Giacomo Caliendo, impegnato in quel momento al Senato. «Sarebbe arrivato a minuti», replica Giulia Bongiorno, presidente della Commissione. La quale, però, condivide alcuni rilievi mossi da Vitali e Contento. Quindi, discussione generale rinviata. Per «questioni tecniche», liquida Italo Bocchino, vicepresidente dei deputati Pdl. «Semplici valutazioni diverse», conferma il capogruppo, Fabrizio Cicchitto, che assicura: «L’accordo c’è e non ci sono problemi». Stessa linea da via Arenula: «Avanti senza intoppi con il disegno di legge del Guardasigilli».
Però, due casi in due giorni. E due indizi sono un sospetto, quasi una prova della fibrillazione in atto nel centrodestra. Già, perché «sullo sfondo», al di là del doppio passo falso - spiega un parlamentare di lungo corso - «vi è sempre la nascita del Pdl, ancora travagliata, con la complicata gestazione tra due partiti strutturati in maniera diversa. E in ballo vi è pure la visibilità, il posizionamento di Fi, An e Lega, in vista dell’election-day». Cioè, «tutti scaldano i motori per andare alla conta» il 6 e 7 giugno, quando si voterà per amministrative ed europee.
«Bisogna scindere le due questioni», ribatte un collega. Il primo nodo da sciogliere, ricorda, rimane quello del Congresso costituente del 27 marzo. «La paura di rimanere schiacciati dai cugini di Fi - spiega - a via della Scrofa è sempre presente. E An vuole, deve in qualche modo puntare i piedi, non tanto sui rapporti di forza iniziali, sull’ormai noto 70%-30%, quanto sugli organismi che decideranno candidature e nomine». E in quest’ottica, si fa notare in Transatlantico, s’inquadra anche il nuovo passo di Gianfranco Fini, che «dopo alcuni mesi di studio, ha ripreso in mano il partito, sempre che l’avesse mai lasciato». In ogni caso, tra Silvio Berlusconi e il presidente della Camera i contatti sono adesso frequenti («si sentono di continuo, non è più come prima», assicura il solito bene informato). E capita spesso di vedere Fini a colloquio con il «reggente» del partito, Ignazio La Russa, alla buvette come in presidenza.
Il primo obiettivo da raggiungere, dunque, per Fi e An, sarà la «fusione a caldo», evidenzia Cicchitto, che invita però a volgere lo sguardo pure al Nord. Dove la Lega cresce, dove Umberto Bossi già rivendica il primo via libera parlamentare ai ddl sulla sicurezza e sul federalismo fiscale. Progetto, quest’ultimo, che a metà marzo - come caldeggiato mercoledì dal Senatùr a pranzo con Fini - dovrebbe avere l’ok della Camera.
Intanto, si stringono i tempi per l’intesa tra Pdl e Lega alle amministrative. «Sono bravo, l’accordo si farà», annunciava Bossi due giorni fa. «Penso proprio che si farà», assicurava ieri Denis Verdini, coordinatore azzurro, dopo una riunione con il premier, La Russa e Calderoli. Discorso a parte merita il voto per le europee. Il mix proporzionale e preferenze, infatti, legittima la battaglia in solitaria.

Grazie alla scelta diretta degli eletti, An conta di far pesare il proprio radicamento nel territorio, per dimostrare di valere più del 30% interno. Allo stesso tempo, Forza Italia punterà magari sulla candidatura di Berlusconi come capolista in tutte le circoscrizioni. La Lega, dal canto suo, proverà a capitalizzare al meglio lo storico successo sul federalismo.

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