È una sindrome bizantina. La sinistra sta implodendo in un buco nero di chiacchiere. È scomparsa dall’orizzonte politico e passa il tempo a ragionare sul sesso degli angeli. È assurdo. È paradossale. Ma a quanto pare è così. Il Pdl fatica a digerire il mal di pancia dei finiani. La maggioranza si conta e non si trova. A Montecitorio è andata due volte sotto, l’ultima su un emendamento sui battelli d’acqua dolce, 40mila euro di incentivi per i navigli solari a ridotto impatto ambientale. Lo ha proposto la sinistra, la destra come spesso capita era assente. Il Pdl sbanda, ma l’opposizione fa peggio. L’opposizione non c’è. Evaporata. È sparita nei dopo cena primaverili di qualche salotto. Si è strozzata intorno a un flusso di coscienza senza fine. È anestetizzata. È un rumore di sottofondo. È una comparsa.
Il governo si interroga sul suo futuro. Il Carroccio dice: o il federalismo o il voto. Fini va ogni giorno in televisione a spiegare le sue ragioni. Il Quirinale è preoccupato. L’equilibrio politico è instabile. L’opposizione che fa? Litiga. Litiga su Fini. Gianfranco è un interlocutore politico, un alleato o un bluff? E vai con il dibattito. D’Alema dice che è un interlocutore. Bersani vuole arruolarlo nel Cln antiberlusconiano. Franceschini invita l’ex leader di An a non muoversi: «Non muoverti. Stai fermo lì a destra e non trascinarci in scenari confusi». Vendola li guarda, li riguarda e capisce che i suoi compagni di avventura sono in stato confusionale: «Non ha senso questa grande ammucchiata». Di Pietro urla che bisogna scegliere subito un candidato premier. Adesso. Un generale anti Berlusconi. Si guarda allo specchio. Spera che qualcuno lo veda. Gli altri lo vedono e prendono tempo: è troppo presto. Se al mercato dei leader l’unico in offerta è Tonino meglio restare così: confusi e felici. La sinistra non ha leader e tra un po’ neppure una truppa. Intanto Veltroni scrive un altro romanzo. Ha capito che nel suo destino non c’è Obama. Lui ora si sente Moccia. Yes we can tre metri sopra il cielo.
Fini o non Fini? This is the question. Non per lui. Non per il leader della «minoranza della maggioranza». Non per il presidente della Camera, l’ultima speranza di questa sinistra naufraga e clandestina. Lui di sinistra? Scherziamo. Ecco quello che dice: «Sono disperati. Si attaccano al primo che passa, sperando che io faccia qualcosa contro il centrodestra». Povera opposizione. Neppure Gianfranco li vuole. Disperati.
Forse ha ragione davvero l’ex ministro Fioroni: «L’attesa del messia è da partito alla canna del gas». Un messia che li porti a vincere le elezioni. Un messia contro Berlusconi. «Il Pd deve trovare la sua identità. Non può continuare ad aspettare il salvatore calato dall’alto o il papa nero». Bisanzio. Ancora Bisanzio. La sinistra degli astronomi e dei profeti, dei cartomanti e dei maghi, con gli occhi fissi a scrutare il cielo, in attesa di un segno, di una stella, di un messaggio nella bottiglia del destino, di una «remontada» catalana, di qualsiasi cosa che li faccia sentire vivi.
Il male di questa sinistra si chiama voto. È la paura di perdere ancora le elezioni. Il braccio corto nel rigiocarsi la partita, di venire seppelliti per sempre dalla tempesta Berlusconi. È come se il Cavaliere fosse protetto da qualcosa di più grande, una sorta di invincibilità. Questo sentimento di rassegnazione ha bloccato ogni strategia politica.
Questo spiega tutto. Un mondo sta per finire e i sacerdoti di Bersani si interrogano sul colore di Fini.
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