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Riaperto il caso Wood "La morte di Natalie non fu un incidente"

Trent'anni dopo, lettere anonime e nuove indagini. La polizia di Los Angeles interroga il capitano dello yacht da cui cadde l’attrice. E i sospetti ora sono sull’ex marito

Riaperto il caso Wood  "La morte di Natalie non fu un incidente"

A Hollywood Babilonia due morti strane fanno discutere ancora, com’è tipico delle star la cui luce non si spegne mai in fretta. Dopo quella di Marilyn Monroe, diva iconica che trafigge il tempo, la singolare fine di Natalie Wood riemerge dopo trent’anni di mistero. Come nei «casi freddi» che la tivù, contenitore obituario di menti criminali, ci rende fin troppo familiari, succede che la polizia di Los Angeles ha riaperto il caso Wood. E ora lo sceriffo della contea losangelina, Lee Baca, guida gli investigatori a indagare su un possibile omicidio. Perché non fu accidente, non scivolò ubriaca dal dinghy del suo yacht «Splendor», Natalie, che pure alzava il gomito da vera russa qual era, Natasha Nikolaevna Zakharenko classe ’38, quel maledetto sabato sera in cui lei, suo marito Robert Wagner e il loro amico Christopher Walken dovevano semplicemente divertirsi nella baia di Santa Catalina.

Era il 28 novembre del 1981, faceva freddo e pioveva: tempo adatto a una sbronza tra attori infelici. E l’allora coroner di Los Angeles, Thomas T. Noguchi, archiviando la morte di Natalie come accidentale, specificò che in corpo la quarantatreenne aveva «una quantità d’alcol più che ricreativa».
Intanto, «lo Splendore nell’erba» se n’era andato, per la Wood, con la morte di Jimmy Dean, subito amato sul set di Gioventù bruciata (1956), dov’era sempre lei a dover cercare il bacio di lui, omosessuale tormentato.

Eppure la sua bellezza di brunetta a posto, pure nei balli scatenati sul tetto di West Side Story, con le ballerine, il foularino al collo e i cerchi ai lobi, dirompeva nei Cinquanta bacchettoni. Per la cronaca: Natalie fu simbolo dell’adolescenza inquieta, tra furori e timori, mentre genitori repressivi proibivano alle ragazze di fumare, o indossare jeans aderenti. A lei, malinconica e passionale, gli uomini piacevano: perse la verginità a 16 anni con Nicholas Ray, mentre lui la dirigeva in Gioventù bruciata.

Poi vennero Dennis Hopper, l’aitante Warren Beatty e due volte Robert Wagner, insignificante belloccio che sposò nel 1957 e risposò nel 1972, un marito e una gravidanza in mezzo. Wagner, che sulla tomba di lei, al Westwood Memorial Park, porta le gardenie, ora affida al portavoce Alan Nierab una dichiarazione: «Valuterò ogni nuova informazione in merito alla morte di mia moglie e offrirò ogni supporto alle indagini, sebbene creda ci sia qualcuno che cerca di trarre profitto dall’anniversario di quella tragica morte». Una fonte non meglio identificata ha inviato una lettera anonima allo sceriffo di L.A., in seguito alla quale Dennis Davern, l’ex capitano dello «Splendor», è stato interrogato nuovamente. Rivelando: «Il vero colpevole della morte della Wood è il marito Robert Wagner, anche se non so bene come. Di certo non avviò le dovute ricerche.Ho cercato di dirlo per anni, ma nessuno mi ha mai ascoltato».

Questi, però, risulta collaboratore di Vanity Fair e della serie tv 48 Hours, il 26 in onda sulla CBS con uno speciale dedicato a Natalie. E insieme a Marti Rulli, Davern è una specie di biografo ufficiale della diva, avendo scritto Goodbye Natalie, Goodbye Splendour. C’è di che sospettare un movimento lobbystico per riaprire il caso a scopi di lucro. Tuttavia, il primo sospettato è Wagner, che nel libro Pieces of my Heart e in più interviste ha ribadito: «Natalie scivolò e cadde in acqua».

Tutti, però, ricordano quanto la Wood fosse superstiziosa, quanto temesse le «acque scure» di quel Pacifico che l’ha cullata a morte.

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