«Oggi restituiamo a Milano un pezzo importante della sua storia, un luogo che ha segnato la vita culturale della città». Con il sorriso dei giorni migliori il sindaco Letizia Moratti ieri ha tagliato il nastro rosso del Teatro Nazionale che dopo tre anni di repliche sospese si appresta a riaccendere i riflettori del suo palcoscenico in piazza Piemonte e a diventare esclusivamente il tempio del musical.
Ma l'importante è non voltarsi. Perché se da una parte in piazza Piemonte si staglia l'imponente facciata anni Venti del teatro di un bianco talmente abbacinante da sembrare un trompe l'oeil, dall'altra c'è una pensilina di cemento armato, l'ingresso del futuro parcheggio sotterraneo, a spezzare l'armonia della piazza. «Per me è una polpetta avvelenata. Diciamo che questa pensilina è abbastanza invasiva, ma purtroppo il progetto del parcheggio è nato molto prima di quello della ristrutturazione del Nazionale e dunque noi non abbiamo potuto farci nulla», dice con una smorfia l'architetto Piero Lissoni, che ha curato la ristrutturazione. Ci pensa Letizia Moratti a smorzare la polemica: «Sicuramente la bellezza del teatro saprà compensare la bruttezza della pensilina», commenta con parole salomoniche, proseguendo la visita d'inaugurazione.
Un'inaugurazione, in realtà, in anticipo sui tempi, visto che l'esordio ufficiale del Nazionale riveduto e corretto è previsto per il 2 ottobre quando il sipario si alzerà su La bella e la bestia, lo storico musical prodotto dalla multinazionale dell'intrattenimento dal vivo Stage Entertainment, che approda a Milano dopo tredici anni di repliche e venticinque milioni di spettatori e che resterà in cartellone almeno dieci mesi.
Milano come Broadway, dunque. «Questo teatro che sin dalla sua fondazione nel 1924 è stato un fiore all'occhiello della vita culturale milanese e ha ospitato riviste, operette, spettacoli lirici e grandi attori come Totò e Ugo Tognazzi riconferma la vocazione teatrale di Milano, sulla quale il comune investe ogni anno otto milioni e mezzo di euro», dice il sindaco attraversando la sala, «firmata» dall'architetto Lissoni: «Ho pensato ad un teatro che tornasse a fare il teatro, anzi, ad essere un'icona per Milano, ricucendo le parti strutturali originali e combinandole con tecnologie sofisticate, con un'acustica raffinata e potente e una visibilità perfetta», spiega l'architetto che ha dato il suo tocco minimalista, giocando con interni grigi e cavi a vista.
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