Riarmo nucleare, da Teheran quattro schiaffi

Sotto gli occhi degli ispettori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, le autorità iraniane hanno rotto i sigilli delle tre centrali nucleari di Natanz e ripreso le ricerche sull’arricchimento dell’uranio «a fini civili e in piccola quantità». Con questa mossa esse hanno somministrato contemporaneamente quattro schiaffi: alla stessa Aiea, alla troika europea formata da Germania, Regno Unito e Francia, alla Russia ed alle Nazioni Unite, per non parlare di Israele e degli Stati Uniti, che hanno maggiormente da temere dalla politica di Teheran. Il direttore generale dell’Aiea, l’egiziano Mohamed El Baradei, si è detto francamete preoccupato; i ministri degli Esteri della troika sono scoraggiati ed indignati per il fatto che i loro sforzi ormai biennali non sono serviti a nulla; la Russia è delusa per il rifiuto della sua proposta di «ospitare» sul suo territorio l’arricchimento dell’uranio iraniano. Per la verità Teheran ha finto di accettare la proposta, chiarendo però che intende «conservare una capacità autonoma di procedere all’arricchimento», esattamente ciò che teme la comunità internazionale. È possibile che a questo punto l’incontro troika-Iran previsto per il 18 gennaio sia annullato, mentre i russi, pur senza grandi speranze, continueranno ad insistere sulla loro offerta. Anche loro però cominciano a convincersi che Teheran fa sul serio.
Già quattro anni fa l’Ayatollah Rafsanjani aveva detto: «Se un giorno anche il mondo islamico disporrà come Israele di siffatti mezzi di distruzione, la strategia dell’imperialismo sarà immobilizzata perché Israele potrebbe essere completamente distrutta. Non è irrazionale prendere in considerazione questa eventualità». Si sente quasi l’eco di tali parole nelle recenti e ripetute affermazioni del primo ministro Mahmud Ahmadinejad sulla necessità di cancellare Israele dalla carta geografica del Medio Oriente. La Russia non può dunque essere cieca di fronte agli intendimenti di uno Stato come l’Iran, ma allo stesso tempo non intende rinunciare ai vantaggi economici e politici della sua amicizia. Così da un canto ha confermato ulteriori negoziati con Teheran per il 16 febbraio e dall’altro si è associata al passo fatto dagli altri quattro membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (ciascuno per conto suo, ma con note dal contenuto identico) per chiedere al governo iraniano non soltanto che rinunci alle sue ricerche ma «manifesti una volontà di apertura verso la proposta di Mosca».
Il quarto schiaffo colpisce le Nazioni unite. L’Iran ha fatto capire che non ne teme le risoluzioni. Gli Stati Uniti sono fermamente intenzionati a chiedere all’organo esecutivo dell’Aiea, il deferimento della questione al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. È possibile che questa volta la risoluzione sia approvata, magari con l’astensione russa, dato che all’Aiea non vi è il diritto di veto. Ma che cosa avverrà a New York? Il Consiglio di sicurezza condannerà l’Iran? È più probabile che produrrà un ennesimo avvertimento ed un patetico invito a tornare a discutere con l’Agenzia atomica internazionale, con la troika europea e magari con la Russia. È invece piuttosto difficile che verrà approvata una proposta degli Stati Uniti di decretare sanzioni economiche. È questa l’unica arma di cui dispone l’Onu e Teheran lo sa perfettamente, come del resto sa che si tratta di un’arma spuntata o almeno a doppia lama.
L’Onu in definitiva è impotente quando si tratta di «mettere in riga» un Paese grande e ricco di risorse naturali ed i suoi organi massimi non hanno nessun interesse a prendere delle misure che, rivelandosi inefficaci, metterebbero in evidenza la sua debolezza.

D’altronde questa situazione appare evidente dal silenzio di coloro che in altre occasioni hanno invocato l’intervento delle Nazioni Unite come un universale toccasana e ritenuto i suoi pronunciamenti un indispensabile crisma per qualsiasi iniziativa internazionale.

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