Francesca Angeli
da Roma
«Ritiro delle truppe italiane dallIrak entro lestate. Prodi è daccordo».
È la questione che Oliviero Diliberto intende porre al primo Consiglio dei ministri non appena il governo si sarà insediato. Il segretario del Pdci sa di poter contare su 16 deputati (compreso se stesso) e 5 senatori e intende far pesare tutti questi voti quando si tratterà di decidere se rifinanziare o meno la missione italiana in Irak. «La scadenza è il 30 giugno - ricorda Diliberto - Basta non rifinanziarla...».
Il leader comunista intervistato in 1/2 H da Lucia Annunziata parla da uomo di governo. In tono pacato rifiuta letichetta di politico appartenente alla sinistra radicale. «Sono di sinistra e basta», replica ad unincalzante Annunziata che non gli permette di svicolare sui temi più spinosi per lUnione e per lui personalmente. Come quello appunto della missione in Irak.
Domani si tengono i funerali delle vittime dellultimo attentato a Nassirya e proprio pochi giorni fa Diliberto è stato indagato, insieme ad un altro esponente del Pdci Marco Rizzo, dalla Procura di Roma in riferimento ad un corteo del febbraio scorso a favore della Palestina durante il quale furono scanditi slogan come «10-100-1000 Nassirya». Diliberto aveva già ribadito di aver soltanto aderito a questa manifestazione e di non condividere quegli slogan. «Non ho mai detto quella frase e non lho mai neppure pensata - insiste Diliberto -. Si tratta di una frase criminale. Detto questo non si può ridurre una manifestazione per la pace ad uno slogan gridato da un pugno di persone».
La condanna di quello slogan però non rappresenta certamente una conversione del Diliberto antiamericano ad uno stile più governativo e diplomatico.
«Ribadisco che il presidente Bush ha le mani insanguinate», chiarisce il leader del Pdci che ammette di «essersi stancato del linguaggio politicamente corretto».
Poi accosta le sue parole a quelle di Papa Wojtyla. «Anche Giovanni Paolo II invitò i capi di governo a non insanguinarsi le mani in una guerra terribile ed inutile».
Tutto questo non significa mettere in dubbio il rapporto di alleanza con lAmerica che però, aggiunge, non significa subalternità. «LItalia - dice - non deve prendere ordini da nessuno».
Sul ritiro delle nostre truppe dallIrak Diliberto ricorda quanto scritto nel programma. Testualmente «se vinceremo le elezioni, immediatamente proporremo al Parlamento italiano il conseguente rientro dei nostri soldati nei tempi tecnicamente necessari». E dunque sottolinea come sia stato proprio lui a volere quell«immediatamente». Chiedere subito però non significa ottenere subito.
Ma Diliberto ha altro in mente. «È chiaro che ci saranno tempi tecnici ma possono essere rispettati prima dellestate - ribadisce Diliberto -. E Prodi è daccordo con me».
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