Ricordiamoci quello che disse Massimo D'Alema, uno che la politica lha frequentata fin da bambino, sedici anni fa, alla vigilia della seconda Repubblica: «Berlusconi in politica? Presto lo troveremo fuori dalle chiese a chiedere l'elemosina». Ieri su Repubblica, il vicedirettore Massimo Giannini, uno che in politica non ne ha mai azzeccata una, ripete la profezia: fine del regime berlusconiano, cialtrone e corrotto. Bene, porta buono. Il quotidiano faro della sinistra italiana affida le sue speranze allex fascista Fini, nuovo modello di liberale riformista, uomo di valori e ideali forti. Lo vedrebbero bene in un ticket di governo con Nichi Vendola, un comunista omosessuale il quale teorizzò che avere pulsioni sessuali verso minorenni non è cosa da condannare e che il no global Carlo Giuliani, quello che voleva spaccare la testa ai carabinieri, è un eroe al pari di Falcone e Borsellino. Un governo dei giusti, insomma, gente coerente e moralmente ineccepibile, sotto l'egida di un giornale-partito, La Repubblica appunto, il cui editore, Carlo De Benedetti, finì in carcere per tangenti, di quelle più odiose perché spillate allo Stato, cioè ai contribuenti. E il cui fondatore, Eugenio Scalfari, fece affari, insieme al compare Caracciolo, con Carboni, quello della P3.
Questa compagnia di voltagabbana, traditori e moralisti sarebbe dunque l'alternativa al berlusconismo. Del quale i suddetti avvoltoi stanno celebrando il funerale pur in assenza di cadavere, cosa che notoriamente allunga la vita al mancato defunto. Ma oggi non è questo il problema, da sedici anni assistiamo a riti simili. E non è neppure quel filo di incertezza che serpeggia nelle file del centrodestra, abituato a vincere facile e a essere trasportato in carrozza servito e riverito. Il pericolo è di cadere nella trappola di invertire la verità dei fatti, cioè pensare a un governo debole e impaurito (...)
(...) e a un Fini forte e lanciato verso chissà quali traguardi. Le cose stanno diversamente. E cioè. Il Pdl resta saldamente il primo partito, con o senza i trenta deputati finiani, lasse politico con la Lega è intatto, anzi esce rafforzato perché non ha più in casa i sabotatori del federalismo. Tremonti, pedina fondamentale per tenere il Paese al sicuro dai venti della crisi, certo non piange, anzi, ha sicuramente un problema in meno. E dallaltra parte che cè? Tre giornali e dieci opinionisti che a pagamento seminano panico inseguendo ipotesi teoriche di ribaltoni e nuove maggioranze possibili solo nella loro testa. Un partito, quello di Fini, che i sondaggi più generosi danno al quattro per cento, oggi nel momento di massima visibilità ed emotività. Unopposizione che è ancora più debole di prima non essendo riuscita a elaborare uno straccio di ipotesi politica.
E Berlusconi, il centrodestra dovrebbero aver paura di tutto questo? Non scherziamo. Si è costruita una maggioranza e un nuovo modo di fare politica contro la volontà dei poteri forti, della magistratura, dei maggiori quotidiani italiani che si sono addirittura schierati con la sinistra, si è lasciata a terra lUdc di Casini che da sola valeva il sei per cento e Berlusconi dovrebbe preoccuparsi di Bocchino e Granata?
Già, ma se alla Camera il governo dovesse andare sotto? A parte che bisognerà vedere alla prova dei fatti la tenuta dei trenta finiani messi di fronte a una scelta non propagandistica ma politica e addirittura personale. Ma in ogni caso non credo sia un dramma. I governi hanno bisogno di stabilità e chiarezza, non di immortalità. Vuole dire che si tornerà a votare, e allora i problemi non saranno certo del Pdl ma dei finiani. Che oggi si illudono di raccogliere consensi perché invece di ascoltare la gente leggono La Repubblica e il Corriere e non gli pare vero di essere tutti i giorni in prima pagina.
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