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Il ricatto di Fini: ora vuole bloccare la Camera

Un inedito nella storia della Repubblica, il presidente di Montecitorio annuncia l’ostruzionismo: "Faremo interdizione". L’ennesima prova che non è più un arbitro. Poi fa il dipietrista: "Il Lodo? Non è una priorità". Storace: "Per Fini il caso Ruby è imbarazzante? Faccia tosta, pensi al cognato"

Il ricatto di Fini: ora vuole bloccare la Camera

Roma - «Il governo c’è e deve governare. Berlusconi metta la testa sui problemi reali e noi non gli faremo mancare il nostro supporto». Finalmente in sintonia con la maggioranza, Gianfranco Fini? Neanche per idea. «Ha ragione la Marcegaglia nel dire che il Paese è fermo e dilaniato da mille polemiche». Non solo. Farà ostruzionismo, interdizione, sabotaggio, opposizione. Lo dice lui stesso: «Interdizione sul pacchetto fiscale? No, perché non è stato presentato.

Interdizione sul piano per il Mezzogiorno? No, perché non è stato presentato. Interdizione su misure per rilanciare l’economia? Ero distratto, non le conosco. Interdizione sulle leggi che servono unicamente per Berlusconi? Sì». Il leader del Fli si smaschera e assicura che farà «interdizione» dalla privilegiata postazione più alta di Montecitorio. Doppio ruolo e ambiguità che, ancora una volta, non lo mettono in imbarazzo: Fini resta presidente della Camera ma anche leader di un partito; Fini resta nella maggioranza ma anche capo dell’opposizione. Insomma, continuerà a fare l’arbitro ma giocherà con la stessa casacca della maggioranza cercando di fare autogol.

Fini è al teatro Adriano di Roma per quello che doveva essere un colloquio con il direttore del Messaggero Roberto Napoletano. In realtà un monologo del presidente della Camera, anzi, leader di partito. Un comizio visto che le sole due volte che il direttore cita Montecarlo, Fini liquida la non-domanda in un «No comment. Nel momento in cui ci si rimette alla magistratura, non si devono commentare le indagini se non al loro termine. Il tempo è galantuomo». Solo una concessione: «Quello che posso dire è che non ho verificato la natura della società acquirente della casa, ma non credo di avere altre responsabilità». Fine. Quisquilie. Per il resto va in scena una minestra di antiberlusconismo, antileghismo, antighedinismo, antitremontismo condita dalla solita tattica propria di chi nel palazzo ci sta da quando indossava i calzoni corti: dire che serve uno «scatto dell’esecutivo» che la fiducia all’alleato non mancherà, a patto che l’alleato si suicidi. Sì alla riforma della giustizia, quindi. «Ma senza dare l’impressione di assoggettare i Pm al potere esecutivo».

Sì alle manovre di rigore portate avanti da Tremonti. «Ma se dobbiamo risparmiare cento, anziché dieci tagli da dieci indichiamo in quali settori tagliare e in quali investire». Lodo Alfano? Sì anche a quello. «Ma se si affidano questioni delicate a simpatici personaggi che sembrano il dottor Stranamore...». Ogni riferimento a Ghedini è volutamente premeditato. E ancora: «Siamo sicuri che il lodo sia la priorità?». D’accordissimo a ridurre le tasse. «Ma alle famiglie o alle imprese? Dire per entrambi è propaganda». Siamo in braghe di tela, riconosce Fini. Ecco perché il Parlamento lavora poco: «Non ci sono soldi per assicurare copertura alle leggi. Ma è possibile che i soldi si trovino solo quando la Lega batte il pugno sul tavolo per difendere 200 ultrà delle quote latte?». Un pugno in faccia all’alleato.
Ma è sulle ultime vicende che riguardano il premier che Gianfranco affila i coltelli con dichiarazioni che hanno quasi l’effetto comico. «È una vicenda che sta facendo il giro del mondo... E che mette l’Italia in una condizione francamente imbarazzante». No, non sta parlando dell’affaire monegasco, Fini. Parla di Ruby, cavalca il «bunga bunga» sperando che questo disarcioni il Cavaliere. «Ero dalla Merkel e potete figuravi i commenti».

No, non si riferisce alla svendita dell’appartamento a Montecarlo a una società off-shore le cui chiavi restano in tasca al parente, Fini. Ma fa riferimento alle ultime lenzuolate sullo stile di vita del premier. «È una vicenda che dimostra disinvoltura, malcostume, e un uso privato del potere pubblico. Mi auguro non sia vero ciò che è stato riportato». No, non sta pensando alle pressioni su un dirigente Rai per far lavorare il cognato, Fini. Né alle sue immersioni illegali nelle acque di Giannutri. Ma ancora alle serate del Cavaliere. «Ci sarà da attendere che gli organi preposti a fare chiarezza, facciano appunto chiarezza». No, non sta pensando all’anomalia che sul contratto di affitto della casa monegasca abitata da Tulliani sotto le diciture «locatario» e «locatore» ci siano due firme identiche, Fini. Sta ragionando se effettivamente la minorenne marocchina sia stata lasciata dalla questura di Milano a seguito della telefonata della presidenza del Consiglio.

«Evitiamo di dire che fa testo la versione dell’una o dell’altra a seconda della convenienza. Dobbiamo affidarci alla valutazione finale». No, non sta rimuginando sulle tante versioni relative al prezzo e all’esistenza di offerte ben maggiori per quella casetta ereditata oltreconfine, Fini. Sa bene, infatti, che la magistratura lo tratta bene: le procure - sempre colabrodo - se indagano lui diventano tupperware: ermetiche.

E se lo iscrivono nel registro degli indagati contestualmente ne chiedono l’archiviazione.

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