Ricci, il sacerdote dell'arte in un «labirinto» di capolavori

Viaggio nella straordinaria collezione dell'editore parmense: Bodoni, Ligabue, le sculture Déco, il surrealismo di Serafini, la fantasia di Robusti

diParma era stata per me, fin da subito, un luogo di delizie, che avevano fatto convergere la mia attenzione, la mia curiosità su numerose anime belle, più che altrove desiderose di una vita inimitabile, attraverso il contatto con opere d'arte, nelle quali specchiare una sensibilità speciale. Neanche a Firenze avevo trovato memorie tanto ricche di opere selezionate con particolare voluttà. A Parma, anzi a Mamiano di Traversetolo, uno per tutti, il più romantico, il più ambizioso, Luigi Magnani, che negli anni si era costruito un museo di capolavori di sei secoli, dal Trecento al Novecento, dal maestro di Figline a Dürer, Tiziano, Goya, Cézanne, Morandi.

Lo conobbi presto, sul finire degli anni '70, ma il mio paraninfo, per un incontro tanto desiderato e così difficile da consumarsi davanti alle opere che Magnani selezionava e centellinava alla vista, in considerazione degli ospiti, fu un altro personaggio eccentrico e bizzarro, dotato di un gusto infallibile, Mario Lanfranchi, del quale vidi la meravigliosa collezione, già dimidiata della parte lasciata alla moglie, il soprano Anna Moffo, ma sempre ricca e varia. Con lui s'inseguivano collezioni misteriose e dipinti imprevedibili e segreti, a partire dalle case di mercanti colti come Igino Consigli, o di industriali come Barilla e Tanzi. A Parma sembrava che tutti fossero collezionisti, e non è un caso che qualche anno prima proprio a Parma fosse nato quell'incredibile Emporio, una kasba dell'arte, che è il Mercante in Fiera, per l'intuizione di un pittore temporaneamente assessore, come Stefano Spagnoli. Insomma, nessuna città mi appariva così versatile nell'arte come Parma.

Questa condizione speciale trova piena conferma nell'incontro con un altro straordinario personaggio, già celebre e votato all'arte come un sacerdote: Franco Maria Ricci.

Ne conoscevo la precoce leggenda e dovetti incontrarlo al debutto degli anni '80, con una vorace capacità di riconoscere gli uomini e le loro attitudini, che si era sintetizzata nell'altissima considerazione e nella scelta tra i suoi autori, suggeritori e consulenti, del grande scrittore argentino Jorge Luis Borges. Non il solo, peraltro. Già Ricci provvedeva alle sue edizioni con l'ausilio di personalità straordinarie come Giovanni Mariotti, Giorgio Manganelli, Italo Calvino. Piccolo editore di grandi ambizioni e di grande respiro, Ricci aveva intercettato l'essenza della regalità di Parma, nell'impresa editoriale di Giovanni Battista Bodoni, riproducendone il Manuale tipografico già alla metà degli anni '60, con una evidente intenzione programmatica. Ma nel contempo, al fianco di questo campione di fantasia meccanica, aveva consacrato il genio onirico e contadino di Ligabue, in un sontuoso volume che inaugurò la sua più importante collana, «I segni dell'uomo».

Borges, Bodoni, Ligabue, in un orizzonte vario e apparentemente incoerente, ma nel segno di una visione originale e febbrile, di illimitata curiosità, di cui Ricci ci avrebbe dato prova, di lì a poco, con la rivista FMR , in una prospettiva enciclopedica. Il suo collezionismo, sin da subito, mi apparve eclettico, sconfinato e alieno da pregiudizi. Dopo più di trent'anni di conoscenza, grato per essere stato subito assimilato agli scrittori più grandi con spregiudicatezza e originalità, posso tentare di ricostruire sia il percorso collezionistico di Ricci, sia le sue origini.

Inizialmente la sede è una casa di Milano, in via Giasone del Maino, vicino a via Washington, originariamente articolata su quattro piani. Siamo nel 1981, e Ricci è già ammirato editore d'arte, ma decide l'impresa della sua vita: una rivista in cui fare finalmente vedere, con adeguate riproduzioni e infiniti particolari, le meraviglie dell'arte in tutte le sue manifestazioni, dalle opere dei grandi maestri alle variegate prove dell'arte applicata, all'oreficeria, alle arti popolari. Fino a quel momento il suo collezionismo è insieme sistematico e rapsodico, e insegue tutte le pubblicazioni di Bodoni, maestro del quale intende riprodurre la vita, e del quale arriverà ad avere la più completa raccolta di libri.

Collezionismo bibliofilo, quindi, solenne e monotematico. Ma il gusto iniziale di Ricci contempla anche alcune predilezioni nel campo dell'Art nouveau e dell'Art déco, dai vetri di Gallè ai bronzi di Chiparus. Ma una particolarissima predilezione Ricci mostra per Erté, del quale pubblica nel 1973 l' Alfabeto . La passione per il disegno e l'acquerello di Erté, campione del Déco a Parigi, ha a Parma terreno fertile, ed è condivisa da Ricci con il raffinato marchand amateur , bello e florido, e prematuramente scomparso, Marco Chiavari, indimenticato amico.

La casa di Milano declina prevalentemente quello stile, ma già in quegli anni precoci non mancano irruzioni imprevedibili e sempre personalissime. All'entrata si viene accolti dalla più bella tigre ruggente di Antonio Ligabue, al quale, nel momento della riscoperta del pittore, nei primi anni '60, Ricci accorda una sua particolarissima predilezione. Ma l'eclettismo di Ricci si apre anche ad artisti colti e originalmente legati alla grande tradizione italiana. Penso a Domenico Gnoli, artista fondamentale e isolato dalle e nelle avanguardie italiane, degli anni '60 e '70, e capace di ritrovare l'assoluta contemporaneità, ai confini con la pop art, degli archetipi di Piero della Francesca. Anche a Gnoli, centrale e riscoperto, Ricci dedica un libro che affida alle mie cure.

In quegli stessi anni Ricci intercettò un altro meraviglioso talento, solitario ed eccentrico, l'ultimo e radicale surrealista italiano nel filone che era partito, senza sviluppo, e senza futuro, da de Chirico e Savinio: Luigi Serafini. Pazientissimo e implacabile estensore del Codex Seraphinianus , enciclopedia illustrata di un mondo nuovo e parallelo, espresso in incontenibili meraviglie in ogni disciplina, dalla botanica all'architettura, all'astronomia, alla raccolta differenziata, dal mondo degli abissi marini agli arcobaleni.

Fra i contemporanei Ricci si è mosso sempre con autonomia e originalità, non appagandosi dei nomi consueti, dei Morandi, dei Sironi, dei De Pisis, osservati con curiosità ma senza passione, e ha preferito artisti fantasiosi e bizzarri, identificando una personalità del tutto autonoma come quella di Enrico Robusti. Non è un caso se alcuni episodi del film La migliore offerta di Giuseppe Tornatore sono ambientati nella biblioteca di Ricci, in prossimità del leggendario Labirinto (il più grande del mondo), ora aperto al pubblico insieme con le collezioni a Fontanellato. Oltre alle innumerevoli sculture, vi sono ritratti di Hayez, del Piccio, di Vittorio Corcos, di Amedeo Bocchi. A una passione per gusto, sensibilità romantica e virtuosismo si deve la scelta di due meravigliosi acquerelli del Bagetti, boschi arcani, sfondo di una foresta di sculture fra le quali si riconoscono un Gentiluomo di Innocenzo Spinazzi e il cardinal Paluzzo Paluzzi del berniniano Lorenzo Merlini.

A loro si affianca un capolavoro di Ferdinand Voet, il malinconico e parlante Sigismondo Chigi. Ogni scultura, ogni dipinto, ogni oggetto è come una persona in un dialogo che non può finire, perché anche nel silenzio quelle opere continueranno a parlare di Ricci.

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