da Roma
Dice Ferzan Ozpetek: «Ne farei altri venti, naturalmente gratis, se ce ne fosse bisogno. L'ho girato con amore e sincerità. Perché, nel tempo, ho visto amici malati allontanarsi progressivamente dalla vita sociale, chiudersi in se stessi, come se il tumore fosse una cosa contagiosa, di cui vergognarsi». Da oggi su Sky e La 7, sulle reti Rai dal 9 novembre, Giornata della ricerca sul cancro, va in onda un piccolo film, che non chiameremo spot, diretto dal regista delle Fate ignoranti e interpretato da Isabella Ferrari insieme a un piccolo stuolo di attori poco noti, dai quali emerge il volto luminoso di Carlotta Tesconi.
A lei il cortometraggio affida un piccolo messaggio di speranza, dentro una dimensione corale, quasi familiare, molto «alla Ozpetek». Si vede, infatti, una tavolata sotto un porticato: la padrona di casa, appunto la Ferrari, osserva i convitati, li presenta ad uno ad uno. C'è il volontario che distribuisce azalee ai malati, la signora che fa piccole donazioni di denaro, il ricercatore che sbadiglia perché ha lavorato fino a tarda notte. Tutti mangiano di gusto, sotto lo sguardo gentile dell'ospite, che alla fine indica Giovanna: la ragazza ha ricominciato a sorridere dopo aver sconfitto il tumore.
John Wayne, che lo combatté a lungo nell'arco di vent'anni, ribattezzò il cancro «the big C». In finale di carriera accettò pure di incarnare, nel crepuscolare Il pistolero, un gunfighter colpito da un tumore all'ano, portato senza vergogna, anche se poi preferisce morire in una spettacolare sparatoria. Il film di Ozpetek, ovviamente, suggerisce altre atmosfere, vuole comunicare un'idea quieta, più cosciente, dell'infermità. Come spiega Sylvie Menard, ricercatrice dell'Airc, l'Associazione italiana per la ricerca contro il cancro, essa stessa colpita dal male: «Oggi di cancro si può vivere, si può uscirne bene, normali. È una malattia come le altre, non significa per forza morte. Sapete, io non mi sento un fantasma».
Non si sente un fantasma, giustamente, neanche Paolo Mereghetti, critico del Corriere, che ricorda come «il cinema abbia spesso dimenticato la realtà, occultando il dolore della malattia, più per paura che per pudore». Citando film come Nemiche amiche con Julia Roberts e Susan Sarandon, Le invasioni barbariche di Denys Arcand, Son frère di Patrice Chéreau, Corpi impazienti di Xavier Giannoli, Mereghetti invita il cinema a «guardare in faccia alla malattia, perché non è un mistero, non un punto nero, ma qualcosa sulla quale aprire gli occhi».
Concorda Isabella Ferrari. Giudica «un dono» aver partecipato al film: «A volte gli attori vivono in una sorta di principio di irrealtà. Ma poi la realtà ti salta addosso. Io ho perso amici cari, la malattia mi ha toccato da vicino. E allora in questa età, forse più matura, mi sono chiesta: cosa posso fare per aiutare la ricerca?». Una domanda che si fa anche Ozpetek. Il quale non esclude, rispondendo a un suggerimento dalla platea, di trasformare il ricercatore scientifico in un nuovo eroe da cinema. «Ma poi non venitemi a chiedere i diritti», sorride.
L'aspetta, tra pochi giorni, il primo ciak del suo nuovo film, Un giorno perfetto, dal romanzo di Melania G. Mazzucco, il primo che gira per la Fandango. Una fosca storia di famiglia, morte, adolescenti e tradimento.
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