La ricerca torna in soffitta

Passato il momento di gloria di questi mesi, il mondo della scienza rischia di vivere i problemi di sempre: pochi soldi e ricercatori precari

La ricerca torna in soffitta

Sono stati portati in palmo di mano dall'intero Paese per un paio di mesi o poco più, incontrastabili eroi anti Covid. E poi bistrattati. I ricercatori erano gli unici a poter capire la gravità della pandemia, i piani da mettere in atto e le decisioni da suggerire alla politica. Sono stati protagonisti insoliti della nostra vita quotidiana, ci hanno aiutato a comprendere nozioni che fino al 20 febbraio erano patrimonio di pochi «topi da laboratorio». E sì, spesso hanno anche sbagliato, poco avvezzi a comunicare, soprattutto sui social. Ora, dopo un breve momento di gloria, gli scienziati rischiano di ritornare nell'oblio. Dimenticati da tutti, in particolar modo dal Governo.

I problemi che c'erano prima dell'emergenza rischiano di essere gli stessi del post Covid: pochi finanziamenti, decisioni rinviate di deroga in deroga sulla sperimentazione animale, bandi europei a cui non è possibile partecipare perché gli studi durano più del contratto dei ricercatori precari che li portano avanti.

CASSE VUOTE

I fondi pubblici assegnati alla ricerca sono pari all'1,34% del Pil, contro una media europea del 2%, e la spesa pubblica negli ultimi dieci anni è stata ridotta del 21%. Non solo, dal 2008 al 2014 anche i finanziamenti per le università statali sono stati tagliati del 14%, per un totale di 2 miliardi di euro.

A denunciare la situazione in cui versa la vita all'interno dei laboratori è il Libro bianco sulla ricerca scritto dal Gruppo 2003, che riunisce gli scienziati che lavorano in Italia e figurano negli elenchi dei ricercatori più citati al mondo nella letteratura scientifica, elenchi compilati per le diverse discipline dall'Institute for Scientific Information di Philadelphia.

«La crisi del 2008 abbinata al taglio dei fondi pubblici - si legge nel dossier - ha portato alla riduzione delle iscrizioni nelle università italiane, con una riduzione del 20% delle matricole negli anni accademici 2003-2004 e 2014-2015. Di contro all'estero l'attività dei ricercatori è sempre stata più incentivata, tanto da indurre 11mila giovani in dieci anni a lasciare il nostro paese. Una fuga di competenze che ha impoverito l'Italia».

E anche Silvio Garattini, fondatore dell'istituto farmacologico Mario Negri, intona il suo grido di dolore contro lo stato di miseria in cui versa la ricerca in Italia: «Abbiamo la metà dei ricercatori e dei fondi rispetto alla Francia, riceviamo un terzo delle risorse rispetto alla Germania». E fa un paragone, per rendere l'idea: «Il sistema sanitario nazionale investe in ricerca lo 0,2 dei 115 miliardi che riceve. Invece le case farmaceutiche ci investono il 7% e le aziende di telefonia mobile il 10%. Purtroppo il nostro Paese continua a considerare la ricerca una spesa e non un investimento».

GIÙ DAL PIEDISTALLO

E ora che ci si è resi conto di quanto sia importante l'attività degli scienziati, cambierà qualcosa? I dubbi della comunità dei ricercatori sono forti. «Non ho la percezione che la ricerca sia tra le priorità del Governo - spiega Pier Luigi Lopalco, presidente dell'associazione Patto per la Scienza -. In questo momento è anche comprensibile: dopo un'emergenza sanitaria terribile, abbiamo da affrontare una terribile crisi economica. Ma il problema è serio. Se in passato la scienza avesse ricevuto i giusti finanziamenti, sarebbe stata più pronta ad affrontare l'ondata di infezioni. Faccio un esempio banale: quello dei tamponi e dei reagenti che mancavano. Se ci fosse stato più personale, nei laboratori chimici quei reagenti sarebbero stati creati. Gli scienziati, dopo qualche settimana sul piedistallo, sono stati visti solo come carcerieri e menagrami. In Italia non c'è una cultura scientifica e non ci sono fondi adeguati nel settore».

Gli scienziati dal canto loro sanno bene che nei prossimi mesi il loro lavoro sarà fondamentale. Non solo per trovare un vaccino ma anche per reimpostare tutte le abitudini della società e far ripartire tutto, lavoro compreso.

E l'unica via vincente sarà ripartire dalla scienza: che non significa solo virologia ma che è ricerca in senso lato, su materiali, tecnologie e modalità produttive.

IL PIANO DI RILANCIO

Per questo il Cnr, Consiglio nazionale delle ricerche, ha messo a punto un piano per la ricostruzione, come se fossimo in periodo post bellico. «Intendiamo rinnovare lo spirito con cui nel 1945 il Cnr era stato momentaneamente trasformato da Consiglio nazionale delle ricerche in Centro di consulenza tecnica del governo per i problemi della ricostruzione - scrive il presidente Cnr Massimo Inguscio. Oggi come allora vogliamo dare il nostro contributo alla ricostruzione. Lo faremo puntando su sei aree strategiche: il database Virus Memory, lo sviluppo di tecnologie a supporto delle fasce più fragili della popolazione, il capitale naturale e le risorse per il futuro dell'Italia, la transizione industriale e di resilienza, la biomedicina e la riprogrammazione della filiera agroalimentare. Per vincere queste grandi sfide bisognerà mettere a sistema tutto il nostro patrimonio di conoscenza multidisciplinare».

GLI ERRORI POST SARS

Nei laboratori è fondamentale non ripetere gli errori del passato, quando l'emergenza Sars (e dieci anni dopo l'emergenza Mers) sono di fatto state due occasioni perse. Perché dopo una prima fase di allarme, tutto è finito nel dimenticatoio e sono addirittura stati sospesi i finanziamenti alla realizzazione delle cure, con studi rimasti a metà e i vaccini chiusi in freezer e buonanotte. Il «chissà» è d'obbligo: chissà cosa sarebbe successo con la comparsa del Covid se non fosse stato chiuso il rubinetto dei finanziamenti negli anni precedenti?

Il decreto Rilancio prevede 1,5 miliardi distribuiti in tre anni fino al 2022 per aumentare il fondo ordinario delle università e avviare un nuovo bando per Progetti di ricerca di Rilevante Interesse Nazionale da 550 milioni (anche se, per raggiungere la Francia, servirebbero 4 miliardi all'anno per 5 anni). È prevista inoltre l'assunzione di 3mila nuovi ricercatori grazie a un stanziamento di 250 milioni di euro. «Una boccata d'ossigeno» la definiscono i membri del Gruppo 2003, ma non una soluzione definitiva.

PROMEMORIA PER IL GOVERNO

I membri del Gruppo 2003 snocciolano ai ministri i punti da tener presente per un vero rilancio dell'attività scientifica. Uno: avviare il nuovo piano nazionale della ricerca, ascoltando i tecnici dei vari settori per fissare le priorità. Punto numero due: fornire ai ricercatori laboratori adeguati. Lo aveva segnalato Arnaldo Caruso, presidente dell'associazione italiana di Virologia, già in epoca pre Covid, e lo ribadisce ora, chiedendo «infrastrutture strategiche adeguate, a cominciare dai laboratori ad alta sicurezza».

Fondamentale è anche sburocratizzare la ricerca: i ricercatori hanno bisogno di finanziamenti si, ma anche di certezza sui tempi di pagamento. «Chi ha necessità di spendere, deve poterlo fare velocemente e in modo omogeneo in tutto il comparto - chiedono gli scienziati - ovviamente documentando in modo chiaro le ragioni dell'urgenza e assumendosi in prima persona la responsabilità civile e penale di eventuali danni erariali».

Serve anche affrontare una volta per tutte il tema della sperimentazione animale e delle minacce di morte che tanti scienziati subiscono nel momento in cui portano avanti qualche progetto sugli animali. Da un lato vanno previste punizioni severe per chi boicotta i progetti, dall'altro serve un adeguamento alle normative europee. E tempi più rapidi: per sperimentare un farmaco su un topo in Italia bisogna avere l'ok di quattro comitati (etico, del benessere, dell'Istituto superiore di sanità e del Ministero della salute) quando all'estero le pratiche sono molto più snelle. Infine la valutazione e la carriera dei ricercatori: un po' più di meritocrazia e stabilità eviterebbero il trasferimento all'estero di due terzi dei giovani.

Dal canto suo anche la comunità scientifica è costretta a un cambiamento a livello mondiale. Organizzativo e «politico».

La consulenza scientifica deve essere più trasparente - è la riflessione del comitato di Scienza in Rete - e moderna. E le riunioni vecchio stampo, i comitati e le tavole rotonde potrebbero lasciare il posto a metodi più efficaci, copiandoli dalle aziende: alla P&G le riunioni sono in sale circondate da schermi con dati e grafici, in Amazon la riunione è preceduta dalla mezz'ora del silenzio in cui ognuno legge memo e si prepara. Scienza in rete lancia anche un'altra riflessione sul rapporto tra Governo e scienza.

Perché ci sia la massima trasparenza e non ci si «imbrodi» in incertezze eccessive sulle linee da seguire, passi avanti e indietro, che fanno solo male al Paese, in particolar modo quando le decisioni vanno prese in poche ore e c'è in ballo una pandemia.

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