«Ricetta obbligata per lo sviluppo tenendo il bilancio in pareggio»

RomaA sorpresa, Mario Draghi fa il suo ingresso nei saloni di palazzo Koch tenendo sottobraccio un suo illustre predecessore, Carlo Azeglio Ciampi. Passato e presente della Banca d’Italia insieme per le ultime considerazioni finali del governatore in procinto di trasferirsi a Francoforte, alla guida della Bce. Alla politica, alle banche, agli imprenditori e ai sindacati, Draghi lascia diciannove cartelle in cui sintetizza le cose da fare perchè il Paese possa crescere ancora. E cita Cavour: «Il risorgimento politico di una nazione non va mai disgiunto dal suo risorgimento economico».
L’Italia deve dunque tornare a crescere. Ma come? É indispensabile, intanto, raggiungere il pareggio di bilancio: Draghi condivide l’obiettivo del pareggio nel 2014, così come l’anticipo a giugno della manovra 2013-2014 annunciato da Giulio Tremonti. Ma dal ministro dell’Economia lo separa il metodo dei tagli di spesa: «no» ai tagli lineari a tutte le voci di bilancio, che impediscono di allocare le risorse dove sono più necessarie. Occorre al contrario quella che in gergo si chiama spending review, l’esame voce per voce dei capitoli di bilancio, «commisurando gli stanziamenti agli obiettivi di oggi, indipendentemente dalla spesa del passato». Andrebbero poi ridotte «in misura significativa» le aliquote fiscali «elevate» a carico dei lavoratori dipendenti e delle imprese, compensando il minor gettito con ulteriori recuperi di evasione fiscale «in aggiunta a quelli, veramente apprezzabili, che l’amministrazione fiscale ha recentemente conseguito». Draghi sostiene la bontà di una manovra «tempestiva, strutturale, credibile agli occhi degli investitori internazionali, orientata alla crescita». E ricorda che il federalismo fiscale può aiutare, ma a due condizioni: che i nuovi tributi locali non si sommino a quelli nazionali (che invece vanno ridotti); e che si preveda un «controllo di legalità» sugli enti ai quali il federalismo affida ampie responsabilità di spesa.
Il sistema Italia non si è ancora adeguato alla globalizzazione. Per la crescita il governatore uscente indica otto priorità, che vanno dall’efficienza della giustizia civile (che costa da sola la perdita di un punto di Pil) al sistema dell’istruzione; dalla maggiore concorrenza alle infrastrutture (i progetti finanziati dall’Europa vengono eseguiti in tempi doppi rispetto ai programmi, e i costi finali eccedono i preventivi del 40%); da un riequilibrio della flessibilità nel lavoro, oggi concentrato sui giovani, al rafforzamento della contrattazione aziendale; dalla maggiore partecipazione al lavoro delle donne al sostegno sufficiente per chi perde l’occupazione. «Le riforme compiute in tempo - ancora una citazione cavouriana - invece di indebolire l’autorità, la rafforzano».
Fra pochi mesi Draghi si trasferirà nell’Eurotower di Francoforte, e così non può non analizzare quanto sta succedendo in Europa: «L’Unione economica e monetaria si trova di fronte alla prova più difficile dalla sua creazione». Per uscirne «non esistono scorciatotie»: la risposta alla crisi del debito sta innanzitutto nelle politiche nazionali, oltre che nell’aiuto europeo. A sua volta, la Bce ha il compito di assicurare la stabilità dei prezzi, e la stabilità monetaria è il suo fondamentale contributo alla crescita: «Le future decisioni di politica monetaria - quelle che Draghi prenderà insieme agli altri governatori a Francoforte - saranno sempre guidate da questo obiettivo primario». Una frase che potrebbe esser stata scritta in tedesco, e poi tradotta.


L’Italia, è la conclusione di Draghi, si trova in una situazione migliore rispetto al passato: le contrapposizioni antiche sono venute meno, e si riscontra una «inedita condivisione» della diagnosi sui problemi della nostra economia. Il declino «non è ineluttabile».

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