Nel manifesto che laveva reso famoso, Filippo Tommaso Marinetti aveva inserito «il disprezzo della donna» come uno degli slogan più eclatanti. La donna non come «valore animale», si era affrettato a chiarire, ma in quanto simbolo «sentimentale», emblema di quella stucchevole elegia da patetismo passatista che illuminava «la facciata del Bordello» col solito melenso «gran chiaro di luna romantico».
Eppure, nel cuore della Grande Guerra, non aveva rinunciato a scrivere una specie di manuale di corteggiamento dal titolo Come si seducono le donne (ripubblicato da Vallecchi nel 2003), in cui leterna lotta tra i sessi veniva riproposta in omaggio alla femminilità futurista dellera della macchina, libera dagli orpelli dannunziani, dal profumo di Coty, dalle ossessioni parigine e dallamore per le passeggiate e le «archeologiche rovine». Una nuova libertà, allinsegna della più moderna emancipazione, attendeva la creatura volitiva, non più sesso debole, fuori dal «carcere» della famiglia, dal «preistorico» istituto matrimoniale, che la rendeva «proprietà» delluomo, supino oggetto di «una legale compra-vendita danima e di corpo». Ma cera di più: Marinetti non si limitava a offrire unavanzatissima interpretazione della questione femminile. Oltre ad auspicare il voto alle donne, la parità salariale e giuridica, il capo futurista inneggiava al libero amore, prefigurando lo sviluppo di una società democratica dagli aspetti libertari e ultraradicali.
Al di là dei paradossi, vi era soprattutto lintenzione di superare limmagine tradizionale della donna, della fanciulla sofferente per amore, quella, per usare le sue parole, «dei romanzi di Fogazzaro, vile, indecisa, ipocrita, piena di rimorsi, neutrale, conservatrice, reazionaria, voglio-non-voglio, sarà-non sarà tua, forse-domani-un-poco, fino-al-petto-ma-non-più-giù». Al bando, dunque, lesile creaturina dei romanzi dappendice, al pari della «donna fatale», stereotipo anchesso dei più consunti repertori della femminilità. A cui però più tardi si dimostrò sensibile, come accadrà per la sepolcrale e ingessata cultura accademica italiana, che fu prima oggetto delle sue accese battaglie, poi, comè noto, lo annoverò tra le sue file, con tanto di aureolata feluca.
La donna luciferina, energica artefice dei propri destini, veniva nuovamente sostituita dalla preda passionale, addirittura destinataria di uno dei mezzi più tradizionali che la seduzione annovera: la lettera damore. Cera anche il nome di Filippo Tommaso Marinetti, infatti, tra gli autori di un elegante volumetto, stampato nel 1928, dal settecentesco titolo Il novissimo segretario galante. 400 lettere damore per ogni evenienza. A comporre linventario di artefici dialettici utili al buon esito del corteggiamento, erano i dieci scrittori autori del «grande romanzo davventure» Lo zar non è morto, riedito in un fortunato ripescaggio editoriale da Sironi qualche mese fa. Pubblicato dalla stessa casa editrice («Sapientia» di Roma, il cui catalogo è ricostruito sul nuovo numero della rivista Wuz), in questo libro Marinetti - in compagnia di Massimo Bontempelli, Lucio DAmbra, Luciano Zuccoli, Alessandro Varaldo e altri pezzi da novanta della narrativa di consumo degli anni Venti e Trenta - si divertiva a offrire unesauriente casistica del versatile playboy capace di conquistare lambita, ma remissiva gentildonna in ogni frangente, anche il più ostico. Con buona pace della più disinibita guerriera futurista, la donna da espugnare era qui quella «osservata varie volte in chiesa», la «donna timida» da invitare a prendere un tè a casa propria, quella languida e lacrimosa «udita piangere la notte scorsa nella camera accanto», la «giovane vedova che si è professata inconsolabile» o quella «veduta con un bimbo».
Ogni lettera prevedeva anche una risposta della corteggiata, in modo che il dongiovanni avesse vita facile a vincere le sue eventuali resistenze. Di sicuro, districandosi «dagli imbrogli delle situazioni sentimentali» e guadagnando «il tempo inutilmente perduto in cento tentativi non più compatibili con le esigenze della rapidità moderna», il cacciatore avrebbe finalmente trovato in quella preziosa raccolta «la frase chiarificatrice» e la ricetta giusta per sbrogliare lintricata matassa delle schermaglie damore. Né avrebbe perduto ulteriore tempo a copiare la lettera stampata, poiché il Gruppo dei Dieci consigliava di acquistare direttamente il volume, spedirlo alla destinataria «mettendo a segnalibro un biglietto da visita» là dove cera la lettera numerata che faceva al caso suo. E così, possedendo tutti - maschi e femmine - questo indispensabile «cifrario del cuore», presto sarebbe bastato «inviare con un telegramma un numero qualsiasi, quindici per esempio» per vedersi «rispondere sessantadue o settantasei», con conseguente «economia di tempo e di denaro»: «una semplificazione che rivoluzionerà il mondo del sentimento allo stesso modo che il telegrafo senza fili ha rivoluzionato il mondo delle comunicazioni».
A giovarsi di questa trovata, sarebbe stato soprattutto il più timido e il più incerto, che grazie a questi autorevoli e audaci consigli avrebbe cancellato le difficoltà dei suoi approcci. Ora schiettezza e ammiccante erotismo avrebbero guidato gli assalti più disinvolti. Come quello dellinfaticabile Marinetti, che tra le sue lettere ne invia una a una signora «per identificare un piedino errante» che nella ressa a teatro ha sfiorato il suo sensibile piede destro.
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