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Un richiamo alla "coerenza" ma la scomunica resta tabù

La bozza discussa più del previsto: inserito il riferimento al ruolo di chi vota per le coppie di fatto e la "comprensione" per la fatica dei cristiani laici

Un richiamo alla "coerenza" ma la scomunica resta tabù

Roma - La Nota della Cei sui Dico va nella direzione indicata da Benedetto XVI fin dalle prime battute del suo pontificato e rappresenta anche un «lascito» della presidenza Ruini alla Chiesa italiana. Era stato il cardinale Vicario di Roma a volerla, preannunciandola. Era stato lui a predisporre una bozza da far discutere ai confratelli del Consiglio permanente. Anche se nel frattempo è stato nominato il nuovo presidente Angelo Bagnasco e si è svolto un dibattito approfondito al «parlamentino» dei vescovi (durato più lungo del previsto), il risultato finale è un documento certamente «ruiniano», nonostante alcuni inserimenti dovuti alla preoccupazione chi non voleva far calare «come una clava» la Nota sui politici cattolici.
Non è mai entrata in gioco neanche lontanamente, nella bozze rielaborate fino alla stesura finale, la possibilità di scomuniche o di altre sanzioni (come l’esclusione dalla comunione) nei confronti dei politici disubbedienti. La stessa citazione tratta dall’esortazione papale Sacramentum caritatis non riporta il passaggio nel quale si parla del «nesso obiettivo con l’eucaristia» che ha l’impegno dei cattolici in politica. E del resto Benedetto XVI in quel testo non ha accolto la richiesta di chi voleva sancire l’esclusione dalla comunione per i politici abortisti o i legislatori che votassero a favore delle unioni gay. Dunque tutto si è giocato su quanto ultimativo e deciso doveva essere il richiamo, appoggiato (com’è noto da tempo) ai due inequivocabili testi della Congregazione per la dottrina della fede. Il dibattito c’è stato, ed è stato vivace. Lo dimostra il fatto che nelle previsioni la Nota sarebbe dovuta uscire già martedì pomeriggio. Ma le proposte di modifica e la discussione non l’ha permesso. Mentre i vertici della Cei volevano fosse chiaro il riferimento al «dovere morale» per i politici di opporsi ai Dico, alcuni vescovi avrebbero desiderato che il documento fosse meno prescrittivo ed è stata proprio la seconda parte della Nota quella sui cui si è incentrato il dibattito. Si deve a loro il riferimento alla comprensione della fatica e delle tensioni «sperimentate dai cattolici impegnati in politica».
Da notare è poi la definizione della legalizzazione delle unioni di fatto come «inaccettabile sul piano di principio, pericolosa sul piano sociale ed educativo»: un’espressione che non era presente nella bozza iniziale del documento e che è stata importata pari pari nella Nota dalla prolusione che monsignor Bagnasco ha tenuto lunedì pomeriggio. È il segno che ciò che ha detto il nuovo presidente della Cei vale come posizione di tutti i vescovi. Un ultimo inserimento è rappresentato dalla definizione di «incoerente» per il cristiano che sostenesse le unioni di fatto. La riproposizione delle parole dell’ex Sant’Uffizio che contestano l’appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica sono infatti particolarmente indicative: la Chiesa non intende certo misconoscere l’importanza dell’autonomia dei laici, sancita dal Concilio, ma spiega che questa non può essere invocata anche quando ci sono in gioco i «valori non negoziabili».
È risultata evidente, poi, la preoccupazione, condivisa anche dalla Segreteria di Stato, di non trasformare la Nota in una sfiducia al governo Prodi. Questo è infatti uno dei campi dove i cattolici possono essere autonomi. Per quanto riguarda invece la lettera del cardinale Bertone a monsignor Bagnasco, è stata letta ieri pomeriggio al Consiglio permanente su richiesta di un vescovo, dopo la pubblicazione sull’Osservatore Romano.

È probabile che nelle intenzioni del presidente e del segretario della Cei dovesse rimanere una missiva privata.

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