Roma

Riciclaggio, «holding» italo-cinese

Le merci provenienti dall’Asia venivano importate illegalmente e i proventi «ripuliti» a Roma da una rete di faccendieri compiacenti

Alessia Marani

Tonnellate di merci cinesi fuorilegge passate alla dogana con bolla araba, milioni di euro che ogni anno hanno lasciato il Bel Paese per fare ritorno in Cina con la complicità di faccendieri e banchieri nostrani. Smantellata dalla Dia di Roma un’organizzazione criminale italo-cinese con a capo una donna, Zhao Jianling, 35 anni, l’unica ad essere accusata anche di associazione mafiosa. Era lei che si occupava di importare le merci, falsificare la documentazione, stoccare i capi e inviarli ai capannoni e ai negozi gestiti da connazionali tra l’Esquilino, il Prenestino e il Casilino. In manette sono finite altre otto persone, quattro cinesi e quattro italiani, tra cui un commercialista e un consulente finanziario. Una trentina gli indagati nell’operazione «Ultimo imperatore» che all’alba di ieri ha visto impegnati oltre 150 uomini tra polizia, carabinieri e agenti delle dogane. Il reato contestato è di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio di denaro «sporco». Un «cartello» perfetto, il primo del genere scovato nello Stivale: ai cinesi il compito di import-export, stoccaggio, distribuzione e vendita al dettaglio, il tutto in barba alle leggi europee sul contingentamento del «made in China», dato che gli stock venivano fatti filtrare attraverso il porto franco di Dubai. Agli italiani quello di riciclare il denaro, fino a sfiorare un business da un milione di euro al giorno. Montagne di soldi che funzionari compiacenti di istituti di credito capitolini provvedevano a riciclare omettendo di segnalare - come legge impone - la movimentazione di quantità di denaro eccessive e sospette. Fondamentale il ruolo di Marco Q., commercialista capitolino, e di Giuseppe S., 37enne originario di Napoli. È lui a creare la «Sun Management Consultants srl», una società fiduciaria autorizzata a gestire solamente portafogli clienti e non soldi liquidi. In realtà, alla società arrivavano ogni sera - come documentato da numerosi pedinamenti, filmati e intercettazioni degli agenti del centro operativo della Direzione investigativa antimafia di piazza Cola di Rienzo - i proventi delle attività cinesi. Denaro che in parte tornava nel Sol Levante «sdoganato» dagli «amici» italiani; in parte finiva in investimenti immobiliari concentrati soperattutto nei tre quartieri che negli ultimi tempi hanno assistito a un’escalation di presenze orientali. «Il sodalizio - dice il colonnello La Forgia - non avrebbe operato ancora per molto. Pronto a tornare in patria o ad agire sotto altre vesti.

Noi siamo arrivati prima».

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