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Ricorsi storici All’Italvolley serve un altro Settantotto

Italia-Cuba di 32 anni fa al Palaeur fu la partita che fece scoprire all’Italia la pallavolo. Uno sport che fino a qualche mese prima era stato rinchiuso nelle palestre scolastiche o in poche isole felici (Modena, Ravenna, Firenze), in cui lo scudetto era una sfida tra le solite note, Ruini o Panini, Panini o Ruini. Improvvisamente però l’Italia scoprì che ci si poteva appassionare anche a questo sport che riuscì a riempire le tribune dell’immenso Palaeur per sostenere l’impresa, decisamente inaspettata, della nazionale del professor Pittera, il maestro di Catania che riuscì a portare gli azzurri nelle semifinali del primo mondiale ospitato in Italia.
Italia-Cuba poteva già essere sufficiente per celebrare l’apoteosi di questo piccolo sport, ma l’impresa divenne ancor più grande e ancor più impensabile quando Lanfranco, Dall’Olio e compagni misero sotto i grandi cubani e si meritarono la finalissima contro l’Unione Sovietica che allora abitava decisamente su un altro pianeta.
Quella medaglia d’argento così inattesa segnò la svolta del nostro piccolo movimento. Il bronzo olimpico dell’84 (seppur conquistato in assenza di molte nazionali dell’Est che avevano boicottato Los Angeles) fece capire che avevamo preso la strada giusta. Quella che ci avrebbe portato nelle mani di un certo Julio Velasco, il profeta che fece esplodere il boom dell’Italvolley degli anni Novanta. Un decennio in cui l’Italia divenne la nazionale del secolo, un decennio di trionfi con tre titoli mondiali consecutivi (’90-94-98), di cui però sembra rimasto ben poco se si pensa alle difficoltà con cui si è mossa la nostra nazionale negli ultimi tempi. Adesso c’è un altro mondiale italiano a 32 anni di distanza e a questo mondiale toccherà il compito di rilanciare un movimento che sembra un po’ appagato, un po’ rassegnato.

L’Italvolley ha bisogno di un altro Settantotto.

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