I guai dell’Italia? Troppo buonismo, istanze sociali che si sono trasformate in debiti. Consiglio ai giovani? Se serve, emigrate. Il premier ci ha preso gusto. Il Mario Monti 2.0 rompe tabù, si accanisce sui totem, si guarda bene dal seguire chi gli consiglia prudenza e si diverte a dire verità scomode. Praticamente un cucù tecnico quello andato in onda ieri alla Web Tv di Repubblica. Un’intervista, rilasciata alla divisione digitale del principale quotidiano della sinistra, nata per correggere il tiro dopo la battuta sul posto fisso «monotono» e che invece si è trasformata nella rampa di lancio per un altro paio di «gaffe» politiche.
Appena attenuato «l’equivoco» di mercoledì sul posto fisso monotono. Se ha tutele, spiega, «è ovvio che è un valore positivo». Ma i giovani «devono abituarsi all’idea che non avranno un posto fisso per tutta la vita». La mobilità è un valore. Quella tra posti di lavoro e persino quella geografica, anche quando porta fuori dall’Italia.
Il messaggio è speculare rispetto alla retorica sui cervelli in fuga. «Bisogna abituarsi a cambiare spesso luogo e tipo di lavoro e paese questo non è da guardare con spavento come una cosa negativa». I giovani hanno invece «troppa diffidenza verso la mobilità, verso il cambiamento e questo è uno dei problemi del nostro Paese. Invece avere la sfida del cambiamento di lavoro nel corso della vita è una cosa positiva, che stimola».
Quasi un invito a emigrare che non è sfuggito ai lettori, che hanno chiesto chiarimenti. «Suggerirei ai giovani di non pensare necessariamente a un proprio futuro in Italia, così come un americano non pensa necessariamente al proprio futuro in America. Suggerirei di fare la scuola in Italia, fare periodi di stage, poi un periodo di specializzazione all’estero, o viceversa».
Tanta franchezza ha fatto sorgere la domanda se il governo tecnico abbia un cuore o meno. Monti, invece di assecondare il mood del popolo di Repubblica, ha confermato il sospetto: «Se ci presentassimo con il cuore in mano, saremmo sicuramente più simpatici ma faremmo il male dell’Italia». Perché in passato, secondo Monti, è andata esattamente così: «L’Italia è ridotta un po’ male perché i governi hanno avuto troppo cuore e diffuso troppo buonismo sociale prima che arrivasse l’Europa austera». Dagli anni Settanta ai Novanta, il disavanzo pubblico era dell’ordine del 10-15% del Pil: «non c’era neanche un dibattito né una consapevolezza perché i governi, molto politici, avevano un cuore esuberante e la somma delle spese pubbliche annuali era molto superiore alla somma delle entrate. I disavanzi hanno creato il debito pubblico che andava a pesare su persone che non votavano o che non erano ancora nate, i giovani che oggi non trovano lavoro. Si è detto di sì a tutti».
Più sfumati i riferimenti alle cose da fare nell’immediato. Sull’articolo 18 bisogna passare «dai miti alla realtà». È certamente un freno «agli investimenti esteri e anche italiani». Ma non c’è certezza che sia affrontato con la riforma del ministro Elsa Fornero. «Non so dire se entro fine marzo, che è la scadenza che ci siamo dati, sia essenziale il ruolo di una modifica dell’articolo 18. È un mosaico con tante tessere, credo non sia utile precludersi di usarle tutte». Il modello resta quello che sposta le tutele dal posto di lavoro al lavoratore, quello danese, che coniuga flessibilità e sicurezza, più che quello degli Usa, assicura il premier, senza comunque spiegare come sia possibile finanziarlo.
Monti raccoglie la sfida di chi accusa le banche di avere abbandonato le imprese e di preferire i titoli di stato. «Non mi dispiacerebbe se gli istituti italiani comprassero più Bot, perché ne comprano pochini». Il tempo di controllare lo spread in diretta, sul suo telefonino, poi, sempre alla Tv di Repubblica, serve un altro riconoscimento a Berlusconi: «Credo sia stato sbagliato aver utilizzato lo spread come un’arma contro il mio predecessore Silvio Berlusconi, e credo si esageri a considerarlo, quando scende, segno di buon comportamento del mio governo». Ma resta «un indicatore rilevante». La fine mandato? Al massimo nel 2013.
La maggioranza? «Ampia, ma potenzialmente evanescente».Per il post Monti, un auspicio mascherato da certezza: «Dopo di me la politica sarà migliore. Il sistema politico sarà più civile, disteso e pacato rispetto agli ultimi anni».
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