Rifondazione vede complotti: vogliono sostituirci con l’Udc

Il giornale del partito attacca Confindustria, «Corriere» e vescovi. Follini: interpretazione con eccessi di fantasia

Adalberto Signore

da Roma

Il sasso l’aveva lanciato domenica scorsa Fausto Bertinotti. Che, intervistato da Repubblica, non aveva avuto esitazioni a parlare di un «disegno preciso» dei «nostalgici delle politiche liberiste degli anni ’90» che vorrebbero «mettere ai margini» la sinistra radicale «dopo averla utilizzata per sconfiggere le destre». Una convinzione, quella del presidente della Camera e leader del Prc, subito raccolta dalla prima pagina di Liberazione, quotidiano di Rifondazione comunista (che il lunedì non esce). Con tanto di nomi e cognomi. «C’è un piano per ribaltare il governo: fuori il Prc, dentro l’Udc di Casini», è il titolone su due righe con cui si apre il giornale diretto da Piero Sansonetti. Con un lungo articolo di Rina Gagliardi in cui si punta il dito contro «i “poteri forti” che stanno seriamente lavorando per sostituire Rifondazione comunista con l’Udc». Insomma, «il famoso “taglio delle ali”» di cui da tempo si disserta. A guidare l’operazione, scrive Liberazione, «Confindustria, il Corriere della Sera» e «forse anche la Cei». Un disegno che avrebbe come «vittima illustre» proprio Romano Prodi, «agnello sacrificale privilegiato del progetto neocentrista». E lo snodo fondamentale per «far cadere da sinistra il governo» e «rompere sia l’Unione che la Cdl» è la disponibilità dell’Udc - annunciata qualche giorno fa da Pier Ferdinando Casini a Giorgio Napolitano - a votare il rifinanziamento della missione militare in Afghanistan. Un «soccorso bianco» che - secondo Liberazione e Bertinotti - è «un’offerta in piena regola di “allargamento” dei confini dell’attuale maggioranza», soprattutto al Senato. E guarda caso, proprio ieri nell’Unione è andato in scena l’ennesimo scontro sulla missione italiana in Afghanistan tra Prc e Verdi da una parte e il ministro della Difesa Arturo Parisi dall’altra. Con il senatore Gigi Malabarba che si è detto pronto a votare contro anche nel caso in cui il governo ponesse la fiducia.
Alla sortita di Bertinotti prima e di Liberazione poi, però, quasi nessuno fa seguito. Se non per le poche parole del ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero che parla di «un governo tirato per la giacca dai poteri forti» e dell’ex segretario dell’Udc Marco Follini. E se da una parte il senatore centrista definisce quella di Liberazione una «descrizione dietrologica» che «pecca di un eccesso di fantasia», dall’altra non perde l’occasione per dire che «il tema della grande coalizione sta dentro l’agenda di questa legislatura» ed è «un’ipotesi che non va sottovalutata né demonizzata». Una battuta sulla questione la fa pure Rocco Buttiglione con il Tg2 per dire che Liberazione non fa altro che mettere a nudo i problemi del governo.
Per il resto silenzio. Perché da una parte Bertinotti deve serrare le fila di un partito che vive con qualche difficoltà la nuova esperienza di governo, come sottolineano con più o meno enfasi molti giornali (di qui l’attacco al Corriere della Sera). E che ha quindi bisogno di agitare, magari più del necessario, lo spauracchio di un nemico esterno (i poteri forti) contro i quali ricompattare il partito. Dall’altra parte c’è l’Udc, piuttosto tiepidino nel rimandare al mittente le accuse di Liberazione.

Non tanto, perché Casini punti davvero alla grande coalizione auspicata da Follini, quanto perché l’ex presidente della Camera ha ormai da tempo deciso di slegarsi il più possibile dall’immagine di Berlusconi e dalla politica del muro contro muro (da qui la disponibilità a votare la missione in Afghanistan). Per mettere in piedi, assicurano i suoi, «il progetto di un centrodestra responsabile».

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