La riforma del catasto, patrimoniale perenne

Il governo ha in mente la riforma del catasto, per trasformarlo - sostanzialmente e formalmente - da catasto di redditi in catasto prevalentemente patrimoniale. L’idea viene giustificata coll’esigenza di eliminare le sperequazioni catastali. Ma a questo scopo basterebbe applicare l’attuale legge, non c’è bisogno di introdurre nel catasto il principio di tassare permanentemente le unità immobiliari per quel che valgono, invece che per quel che rendono. Piuttosto, è invece il caso di ricordare che ad un catasto patrimoniale pensò anni fa l’ex ministro Visco e che, allora, la gran parte delle forze politiche che appoggiano l’attuale governo si oppose, tant’è che il progetto naufragò. Ora si ritenta, ancora una volta capovolgendo i principii ispiratori dell’attuale legge catastale, che prevede un catasto reddituale in funzione di una tassazione che rispetti il principio costituzionale della capacità contributiva. La scelta fondamentale è sempre una, e una sola: va tassato il reddito o il valore? Il governo attuale è evidentemente su questultima strada, pur in una situazione di mercato nella quale non vi è coerenza tra reddito e valore delle singole case.

Il rischio (per non dire la certezza) è che con questa riforma si pongano surrettiziamente le basi per una patrimoniale permanente delle famiglie (per così dire), col risultato - già denunziato dalla nostra Corte costituzionale e reso praticamente certo dall’ipotizzato uso di funzioni statistiche invece che di rilevazioni sul territorio, come sempre avvenuto - di avallare l’incivile principio che un immobile possa essere colpito anche oltre il reddito che produce e quindi a prescindere dalla capacità contributiva del suo proprietario. È ciò che la Corte costituzionale tedesca - ad evitare, altresì, l’espropriazione progressiva dei beni - ha invece impedito che avvenga in Germania.
*Presidente Confedilizia

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