Le giuridicamente fragili procedure adottate dal ministro Fabio Mussi per la nomina del presidente del Consiglio nazionale delle ricerche, confermano la ben nota debolezza della «governance» del sistema scientifico e tecnologico esercitata fino ad ora dal ministro e dal governo Prodi.
Spieghiamoci meglio. Il Cnr, massimo organo di ricerca del Paese, che comprende oltre cento istituti di ricerca, dopo lallontanamento «incentivato» del presidente Fabio Pistella, è in attesa della nomina di un nuovo presidente. Il ministro ha nominato per il caso in oggetto una commissione di alta consulenza con lincarico di identificare una rosa di tre candidati, tra i quali il ministro sceglierà chi proporre al Cdm e al Parlamento. Liniziativa è apprezzabile poiché sottrae, in parte, la nomina del presidente del maggiore ente di ricerca italiano alla discrezionalità fino ad ora esercitata da parte del potere politico, per una nomina per la quale si richiedono altissime caratteristiche sia scientifiche sia manageriali.
Le procedure adottate dal ministro presentano, tuttavia, elementi di illegittimità che i candidati esclusi potranno far valere nelle sedi opportune, con ulteriore discapito delle istituzioni. È ben vero che la legge 165/2007 ha concesso in proposito al governo una delega le cui norme tuttavia devono ancora essere approvate dal Parlamento, che prevede scelte dei presidenti effettuate in rose di candidati proposte da «appositi comitati di selezione di volta in volta nominati dal governo», ma nessuna legge vigente o «in fieri» prevede il ricorso a una commissione con il potere di scegliere una rosa di tre candidati e quindi anche con la possibilità di esercitare, senza averne titolo, un potere di veto verso determinati candidati. Ed è proprio a questo, si dice maliziosamente, ma non lo vogliamo credere, si tenderebbe.
In più, la procedura prevista dalla legge delega prevede che la Commissione proponga una rosa di candidati non specificandone il numero, stabilendo che sia il governo, e cioè il Cdm, a designare i componenti della stessa commissione. Sia chiaro: il ministro può ben nominare una commissione di esperti per scegliere un candidato da proporre al Cdm, ma non può affidare alla stessa commissione compiti di selezione tra i candidati. Ciò - tra laltro - implicherebbe, a tutela degli stessi concorrenti, una rigorosa, corretta procedura, del tutto analoga a quella di un concorso pubblico. Si aggiunga che la commissione ha formulato per i candidati (comunicato stampa del Mur, 22.10.2007) requisiti diversi da quelli previsti dalla vigente legge 204/1998, art. 6, tra cui la necessità di conoscere la lingua italiana (sic).
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