Una riforma per l’economia

La ripresa passa anche per i tribunali. Anche l’osservatore più sprovveduto ormai si sta rendendo conto della situazione drammatica in cui versa l’economia mondiale. Per l’Italia la situazione è ancora peggio: il debito pubblico è ancora tutto lì, svalutare la moneta non è più possibile, i «tesoretti» sono stati irresponsabilmente sperperati e la pressione fiscale non è più aumentabile. Nonostante questo scenario ogni volta che si parla di tagli le strade si riempiono di scioperanti. Non tutto il male tuttavia viene per nuocere, infatti l’emergenza può essere un potente incentivo per uscire dall’inerzia e realizzare alcune riforme mai affrontate seriamente in precedenza. Una di queste riforme che, pur non essendo strettamente economiche, possono impattare positivamente un’economia stagnante è la ristrutturazione della giustizia. Al momento l’Italia è una sorta di paradiso legale, dove la durata elefantiaca dei processi e la possibilità di adire mille ricorsi risultano certamente premianti per l’impresa che consapevolmente attui comportamenti illegittimi: vale la pena ricordare che sono ormai passati cinque anni dalla scoperta del crac Parmalat e il processo relativo sta appena muovendo i suoi primi, stentati passi. Peccato però che, se si vuol progredire, bisogna attirare le imprese oneste, non i delinquenti, tuttavia esse preferiscono tenersi alla larga dal nostro Paese, spaventate proprio dall’impossibilità di far valere le proprie ragioni in tempi ragionevoli in caso di contenzioso, dall’aleatorietà dell’azione penale, dal quadro normativo instabile. Una giustizia che non funziona è un incentivo per gli irregolari ed un deterrente per i corretti, vale a dire proprio ciò che non serve per rilanciare l’economia. Il ministro Alfano ha dimostrato con i suoi primi atti (che hanno avuto una pubblicità minima rispetto al ben meno rilevante «lodo») di aver ben presente questo problema: c’è da sperare che iniziative in questa direzione vengano incoraggiate. La prima richiesta che viene dal mondo dell’economia è la certezza del diritto: per ottenere ciò occorre puntare ad un termine certo, massimo e inderogabile alla durata dei processi, obiettivo che si potrebbe ottenere anche sgomberando i tribunali dai procedimenti marginali e spingendo sull’informatizzazione degli atti, cosa possibile sin da subito, dal momento che si può presumere che ogni impresa disponga di strumenti informatici di comunicazione. Altrettanto importante è la certezza dell’effettiva esecuzione per le ditte appaltatrici di lavori: troppo spesso infatti una semplice costruzione viene investita da una marea di ricorsi che partono dal Tar o da preture provinciali per trascinarsi stancamente negli anni con diversi e contraddittori gradi di giudizio. Logico quindi che meno ditte di quanto sarebbe possibile, pensino di partecipare a bandi statali o regionali, con danno sia in termini di prezzo che di qualità del lavoro. Un’idea per ovviare a ciò è prevedere una sorta di «presunzione di correttezza» per i provvedimenti assunti da assemblee elettive di ampia rappresentanza, quali lo stato, le regioni e le città metropolitane, in modo tale che i lavori decisi da tali organi non possano essere bloccati subito da un qualsiasi tribunale, ma che si debba attendere la sentenza definitiva. Il costo della riduzione in pristino e dell’eventuale risarcimento in caso di effettiva irregolarità è di certo inferiore al costo implicito dell’inazione e del timore di fare, attualmente riversato sui costi degli appalti. Occorre infine sperare che, anche grazie all’azione del ministro Calderoli, si semplifichi il più possibile il quadro normativo, possibilmente con l’adozione di Testi Unici di chiara interpretazione, in modo da evitare la sensazione di una legislazione incomprensibile che sembra fatta apposta per rendere potenzialmente attaccabile qualsiasi atto.

Il motore dell’economia è fermo, la benzina è pochissima, però se vogliamo provare a muoverci è necessario almeno rimuovere le ganasce alle ruote, basta capire che giustizia ed economia non sono mondi del tutto separati.
Claudio Borghi
posta@claudioborghi.com

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