La riforma sanitaria di Obama è una piccola sòla

Mi corre l’obbligo, caro Granzotto, di chiedere un suo autorevole intervento sul caso Obama. Quando lei costituì l’Accademia della Sòla, io mi autonominai socio in quanto ne condividevo e ne condivido la filosofia e lo statuto; mi pare, però, doveroso tributare un riconoscimento eccezionale alla Sòla per la riforma della Sanità testè approvata, salvo ritornare sui nostri passi se e quando dovesse dimostrarsi un flop ovverossia un’altra sola. La saluto caramente.
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Eh sì, caro Rosati: dobbiamo ammettere che Barack Obama ha finalmente messo a segno un colpo. Ai «sinceri democratici» che lo adorano e che vedono in lui l’uomo della svolta (in senso politicamente corretto) del pianeta, aveva finora dato solo grossi dispiaceri. Mostrandosi a esempio troppo bellicista ancorché Nobel per la Pace. La riforma sanitaria or ora varata non è certo «epocale», non è quella che Obama aveva promesso di attuare, però è pur sempre qualcosa e quel qualcosa è stato montato ad arte fino a farlo figurare tutta polpa e niente fumo. Però, come avrà notato, caro Rosati, il tripudio sinceramente democratico è durato poco. Diciamo lo spazio d’un mattino. Lo stesso Obama, che pure è un narcisista, che pure ha un ego grande come lo Yankee Stadium, non è che abbia fatto a lungo la ruota del pavone: incassato l’applauso e dette le quattro banalità che doveva dire, tipo «I sogni possono diventare realtà», s’è messo a occuparsi e a parlar d’altro. È il primo, infatti, a sapere che la «storica riforma» del welfare è solo una riformina la quale, oltre tutto, potrebbe costargli cara. Potrebbe costargli la rielezione. Salvo assicurare - e non è certo poco - ai trenta milioni di americani non anziani (e quindi non coperti dalla Medicare) e non poveri (e dunque non tutelati dalla Medicaid) l’assicurazione sanitaria che per un motivo o per l’altro non avevano stipulato, l’impianto del welfare resta quello di prima. Nessuna traccia della «public option (Public Health Insurance Option, per dirla intera), dello strumento statale simile al nostro Inps, che pure era la punta di diamante - e un diamante socialista - della riforma di Obama. Il sistema previdenziale resta in mano ai privati ed è ancora in larga parte condizionato dalle scelte personali dei cittadini americani. Le spese dell’allargamento della previdenza alla middle class ricadrà poi sui contribuenti e questa è una cosa che gli americani di destra o di sinistra stenteranno a mandar giù, sempre che la mandino giù.
Ovviamente all’Accademia della Sòla non interessa il futuro politico di Obama. Essa giudica e sentenzia sull’immediato. E ritiene che la «storica riforma» se non sòla a tutto tondo, quanto meno sòletta è, tale comunque da stemperare di molto - basta leggere i giornali americani più liberal - il fideismo che il presidente degli Stati Uniti fin qui ispirava. Se pur appartenendogli il tocco magico, l’eloquio incantatore e il sorriso accattivante, egli non riesce a cambiare un sistema previdenziale, figuriamoci se può cambiare il mondo.

Ci sono manifesti che spuntano un po’ dappertutto negli States: ritraggono George W. Bush e riportano la scritta: «Vi manco già?». Domanda impertinente, domanda provocatoria, certo. Ma a un anno e passa dall’insediamento di Obama ci si comincia a chiedere se sia anche oziosa.

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