Le riforme mancate nel Paese bloccato dai privilegi

Qui stanno bruciando gli ultimi sogni. Quando lo raccontano sociologi e statistiche è quasi sempre troppo tardi. Questa è comunque la fotografia sociale dell’Italia. Il 44 per cento degli architetti è figlio di architetti. Il 42 per cento di avvocati e notati è figlio di avvocati e notai. Il 40 per cento dei farmacisti è, chiaramente, figlio di farmacista. La lista può continuare a lungo, in questo gioco di caste chiuse. È l’odore di un paese che sa di caste chiuse, sprofondato in una sorta di nuovo medioevo, dove nulla cambia, senza mobilità sociale, ascensori bloccati, corporazioni e servi della gleba. Quest’immagine arriva dalla fondazione Italia Futura, quella di Luca Cordero di Montezemolo, e certifica qualcosa che gran parte della gente già respirava a pelle. Non era mai successo, ma i figli stanno peggio dei padri e si trovano davanti muri e città delle di privilegi, come se il futuro fosse immobile, circondato da una palude o da un incantesimo che ferma tutto, anche l’idea che se tu studi, lavori, ti sbatti da qualche parte arrivi. Non è più così. Non ci sono più spazi. Qui il sogno americano non è mai arrivato. E quello italiano è svaporato da tempo.
I padri facevano studiare i figli. Erano contadini, commercianti, operai. Erano artigiani o impiegati. Sognavano il figlio dottore, la fuga dalla fatica, il pezzo di carta come un’assicurazione per un’altra vita. Questa era l’Italia dei pochi ricchi e dei tanti poveri, borghese, dei signori e dei cafoni, ingiusta quanto si vuole, ma aveva ancora le finestre e gli ascensori. I figli dei contadini e dei meccanici, dei fornai e dei metalmeccanici potevano diventare magistrati e professori universitari. Perfino giornalisti. Non era facile. C’erano tutti gli handicap di una società mezzo chiusa. Ma c’era una speranza. Ecco, in questa Italia feudale la speranza è stata spezzata via. Chi ha vent’anni sta affogando in una pozza di disillusione. È quello che raccontava già qualche anno fa Nicola Lagioia in Occidente per principianti, romanzo sull’ultima generazione precaria e perduta. «Continui a studiare in attesa di un concorso. O fai un praticantato in uno studio legale (gratis). O uno stage (sempre gratis). O inizi a lavorare per una casa editrice (quasi gratis). Tuo padre rappresenta spumanti per una famosa ditta del Nord est. Ha l’esclusiva di Lazio, Campania, Puglia e Basilicata. Porta a casa ogni mese da sei a dieci milioni al mese, nero escluso. Ha la seconda media. Come è possibile che una perfetta macchina da guerra benedetta dalle istituzioni come suo figlio riesca a malapena a macinare i soldi per l’affitto?». Questo è l’interrogativo che si fanno molti padri. La risposta, purtroppo, è che la colpa è anche loro.
Questo è il Paese dove si parla da vent’anni di riforme. E non si fanno mai. C’è sempre un buon motivo per mandare tutto al macero, o da qualche altra parte. È l’Italia dove governare è un delitto, dove i premier cadono per crisi extra politiche, dove la democrazia ha sempre qualche buco, dove si è sempre sull’orlo di una guerra civile. Si sta lì sul bilico, in uno scontro di poteri forti che si boicottano senza mai guardarsi in faccia. L’unico risultato che ottengono è la paralisi, con una colonna sonora di paroloni nobili: democrazia, libertà, costituzione, resistenza. Queste parole ripetute come una litania si sono consumate, sono scatole vuote, utili solo ai vari baroni per giustificare privilegi e poteri. Ma le élite di questa terra impaludata si sono rese conto che la frattura tra loro e gli altri, quelli che ogni mattina vanno al lavoro, rischiano, pagano l’affitto e maledicono le tasse, è ormai insanabile? Lo sa questa gente che l’Italia è fondata su due repubbliche del lavoro, una è quella di chi è ipergarantito, l’altra è quella precaria e sottopagata? Forse non lo sanno.
C’è troppa gente in giro che comincia a dire: non serve votare. Tanto ogni volta è la stessa storia. Si vota, si sceglie, si spera e poi i governi cadono colpiti alle spalle da un pezzo di coalizione, da un pezzo di potere, dalla sentenza di un azzeccagarbugli. Non c’è mai il tempo di respirare. Fini, al convegno di Montezemolo, dice: «Alcune riforme devono essere portate a compimento. I nostri figli non ce lo perdonerebbero». Non fai in tempo neppure a rispondere e già dalla Corte costituzionale arriva la notizia sul lodo Alfano. Bocciato. Un altro fronte. Un altra battaglia. Si ricomincia. Il mercato del lavoro? Fermo. Niente riforme. La previdenza? Uguale. Gli ordini professionali? Granitici. L’università e la scuola? Alla deriva.

E se solo provi a toccare la zattera si materializzano zombie e fantasmi del passato. La giustizia? Intoccabile. Muori.
Ecco. L’Italia è così, arroccata nel suo immobilismo. È senza vie di fuga. Metteteci su un cartello: attenzione, potrebbe esplodere.

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