Riforme, il premier spiazzato dall’asse Veltroni-Cavaliere

Il segretario del Pd incassa un secco rifiuto dalla Lega. Oggi l’incontro clou a Montecitorio con il leader di Fi

Riforme, il premier spiazzato dall’asse Veltroni-Cavaliere

Roma - Walter Veltroni continua il suo Grand Tour tra le forze politiche alla ricerca di un punto di equilibrio sulla riforma della legge elettorale. Una girandola di incontri che fatica a produrre risultati concreti. Tanto che Romano Prodi, in vista del «big match» tra il segretario del Partito democratico e il leader di Forza Italia, si propone come aiutante di campo, in modo da ritagliarsi anche lui un ruolo in queste delicata partita. «Veltroni e Berlusconi discuteranno della riforma della legge elettorale, che non rientra direttamente nelle competenze del capo del governo, ma delle forze politiche e del Parlamento» dichiara a Le Figaro. «Ma se posso aiutare, lo farò volentieri».
Il bilancio delle mediazioni veltroniane è, in effetti, piuttosto magro. Dopo il rendez vous con Gianfranco Fini e con Pier Ferdinando Casini, ieri è stata la volta della Lega e dei Comunisti italiani. Presto il sindaco di Roma incontrerà la Sinistra di Mussi mentre non ci sarà il faccia a faccia con i liberaldemocratici di Dini: «Da parte nostra non c’è alcuna necessità di confrontarci» dice Willer Bordon.
Oggi alle 16, invece, scatterà il summit con Silvio Berlusconi a Montecitorio. Ma nell’attesa bisogna registrare il sostanziale fallimento dell’incontro con la Lega. Se nelle precedenti occasioni i protagonisti avevano utilizzato formule intermedie, questa volta Roberto Maroni scatta una fotografia impietosa e fa suonare l’allarme sull’approssimarsi del referendum. «Con Veltroni non abbiamo registrato nessuna intesa, se non quella sulla necessità di fare una riforma elettorale. Io credo che ormai si vada al referendum - dice il capogruppo del Carroccio - Abbiamo presentato a Veltroni la proposta Calderoli ed è stata accolta non con grande entusiasmo. Siamo convinti che il referendum sia ormai lo sbocco più probabile. Tuttavia sia chiaro che non lo temiamo». Il tutto corredato da una postilla: «Se si dovesse svolgere il referendum e la consultazione popolare dovesse avere un esito positivo, in quel caso la Lega starà fuori dal listone di Berlusconi e correrà da sola» dice Maroni. Altrettanto secco il verdetto sulle larghe intese: «La Lega non appoggerà mai un governo istituzionale per fare le riforme».
Il Carroccio, in verità, nell’incontro con Veltroni, ha tentato di fissare delle priorità, battendo sulla necessità di fare subito la riforma elettorale, per poi discutere del resto, cioè le riforme istituzionali. La risposta di Veltroni è stata secca: le due cose devono camminare parallelamente. Una posizione che avrebbe fatto storcere il naso ai lumbard. Racconta Maroni in Transatlantico: «Il principio da far valere è questo: serve una soglia di sbarramento che tenga conto che ci sono dei partiti territoriali forti, ma la scelta del premier va fatta prima e non dopo le elezioni. Berlusconi ha concordato con noi. Veltroni ha detto che per lui non va bene. Le distanze restano profonde». Berlusconi, insomma, gode dell’appoggio della Lega, con cui ancora una volta gioca di sponda. Non è un caso che, dopo il colloquio con Veltroni, i vertici della Lega abbiano incontrato il leader azzurro per informarlo dei contenuti della riunione. Un feeling, quello tra tifosi milanisti, che corre anche sull’asse calcistico. «Posizioni diverse con Veltroni? Alla vigilia di Milan-Juve, peggio di così non poteva andare» scherza Maroni, ironizzando sulla fede juventina del sindaco di Roma. «Mi pare che il cantiere sia ancora ben lontano dall’essere chiuso. Gli abbiamo detto: puoi pensare di poter fare un’alleanza con Fi e la Lega, lasciando fuori pezzi della maggioranza?». Il segretario del Pd avrebbe risposto: «In effetti è difficile».

E i leghisti: «No, è impossibile, il rischio è che il governo cada due minuti dopo. Perché sai benissimo che, se non tiri dentro Mastella, Diliberto e i Verdi, ciascuno di questi potrebbe dire “Perché dovrei suicidarmi, meglio far cadere il governo e andare alle elezioni”».

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