«Le riforme terreno ideale per riportare l’Udc nel Pdl»

Roma«Il presidente della Repubblica ha aperto una corsia preferenziale per le riforme. Non si tratta di estetica per giuristi, ma bisogna farle per i cittadini e per le imprese». Mario Baccini, deputato e presidente dei Cristiano popolari del Pdl, risponde all’appello e non si tira indietro: «Sono stato l’unico a presentare una proposta di legge che contempla il presidenzialismo e il federalismo».
Onorevole Baccini, come interpreta la trasversalità tra Berlusconi e Bossi, mentre l’entourage del presidente della Camera cerca di riconquistare il rapporto con l’Udc?
«Il presidente del Consiglio si rende conto che deve dare una scossa e la Lega rappresenta un punto importante perché gli elettori le hanno riconosciuto il ruolo di forza riformista. Gli ex di An vicini a Fini giocano una partita tatticistica. Ma il progetto di Bossi che inquadra presidenzialismo, o semipresidenzialismo, insieme con il federalismo fiscale può coinvolgere le forze centriste».
Tutti nel Pdl lo invitano ma Casini non risponde...
«Devono essere coinvolti al tavolo delle riforme ed è lì che si costruirà la prossima legislatura, ovvero la possibilità di recuperare le maggiori risorse del centrismo in un’alleanza organica col centrodestra passando dal bipartitismo a un bipolarismo di alleanze».
L’Udc guadagna voti solo quando corre assieme al centrodestra.
«Si devono fare valutazioni più profonde. Casini sta trasformando l’Udc in qualcosa di impermeabile ai due schieramenti e se si vuole recuperarlo, bisogna coinvolgerlo prima che si autonomizzi a tal punto che un’eventuale alleanza con Pdl e Lega non sia scontata».
Da ex udc lei come agirebbe?
«Continuando sulla linea dell’economia sociale di mercato seguita dal ministro Tremonti: l’inscindibilità di economia ed etica e il rifiuto degli automatismi del mercato propugnati dal liberismo. Solo così si può coinvolgere il centro tagliando fuori la sinistra giustizialista».
L’Udc però ha accentuato la propria connotazione antileghista.
«La Lega è titolata ad avanzare proposte, ma le elezioni le ha vinte Berlusconi. Conosco Casini e so che, come Bossi con il federalismo, anche lui ha una grande missione: trovare un accordo con Berlusconi per costruire un grande partito popolare europeo».
Il «trappolone» della legge elettorale può inquinare la stagione delle riforme?
«Tutti pensano a come trarre vantaggio per uno schieramento senza pensare agli elettori. Finché si è in una democrazia parlamentare il popolo deve poter delegare i propri rappresentanti. Se la delega non è diretta, il Parlamento è debole e il presidenzialismo non può risolversi in un uomo solo al comando».
E della riforma della giustizia cosa pensa?
«È la priorità delle priorità. Non si possono avviare riforme serie e organiche con un potere giudiziario che ha interesse a ostacolare i cambiamenti. I parlamentari non possono rischiare di andare in galera perché vogliono avviare le riforme».
A che punto è il Pdl?
«Da cofondatore con i Cristiano popolari posso dire che il partito è stato il fulcro per la conquista di molte Regioni. Ma se da una parte governa bene, dall’altra ci sono troppe risse. Serve una nuova struttura perché anziché essere un motore del governo, è un freno».
Cosa non ha funzionato?
«A volte pare una somma di rissosi potentati locali composti da vecchi quadri di partito della prima Repubblica. La sfida alla Lega si fa con la buona politica: non è che si può aspettare che qualcuno venga arrestato per cambiare».
Eppure se il Pdl non avesse vinto le Regionali, soprattutto nel Lazio, ora non si parlerebbe di riforme.
«La Polverini ha vinto grazie al sostegno di Berlusconi e al proprio impegno.

Si sono sprigionate energie bloccate dai potentati che hanno sopperito alla mancanza di 120mila voti a Roma rispetto al 2008. Ha vinto nonostante il veltronismo di Alemanno. Il giudizio sulla conduzione del partito di Roma, tuttavia, è positivo perché ha lavorato in condizioni di emergenza».

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