Il rigore di Totti che ha cambiato la vita a tutti

Riva: «Ha calciato come un padre». Il romanista: «Si è gonfiata la rete e sono impazzito». Dedica il gol a moglie, figlio e compagni. Ma si scorda di Lippi

nostro inviato a Duisburg
Quel rigore ha cambiato la vita a Totti. Prim’ancora che a tutti noi. Per cominciare ha cambiato la vita all’Italia del calcio, passata dal tormento all’estasi, dallo scontato supplizio dei supplementari con i canguri d’Australia, alle feste in piazza e ai tuffi nelle fontane, secondo un rigido schema esportato in ogni regione del mondo. Un lampo, anzi una folgore di destro, potente e angolata, per riportare il sereno, ricreare la magia di un cognome che diventa il simbolo dell’ultimo successo della Nazionale e prolungare l’attesa di una magia. Quel minuto brevissimo dura un giorno intero, qui a Duisburg dove l’Italia di Lippi, non ancora raggiunta dal gesto di Pessotto, s’interroga e discute di un rigore capace di cambiare almeno il destino del mondiale azzurro. Gigi Riva che di rigori non fu un grande specialista commenta con la sua voce impastata di nicotina. «Totti ha calciato come sa fare solo un responsabile padre di famiglia» spiega e naturalmente lucida l’esecuzione razionale e geometrica, non lo sberleffo verso Van der Saar, sei anni prima, nell’Arena di Amsterdam. «Facile tirare un rigore sul 3 a 0, qui spunta l’uomo» riconosce ancora Riva ed è questa forse la spiegazione più convincente di quella corsa selvaggia di tutta la panchina verso la sagoma di Totti. «In certi casi bisogna tirare un gran botta ma centrare lo specchio della porta: e si sa quale rischio si corre, il rischio che un granello di calce sotto il pallone leggero leggero, possa farlo volare in curva, ad ammazzare qualcuno o a rompere qualche lampione» racconta ancora Riva. Quel rigore ha cambiato anche la sua vita, se il giorno è pronto a disquisire di rigori e di tiri con gli occhi rapiti di un bambino.
Gli altri, tutti gli altri, non hanno nascosto riti scaramantici e debolezze, rese alla stanchezza solenne e scatti di orgoglio. Buffon pare un armadio a due ante, sotto la maglia indossa la tuta di superman ma quando c’è quel rigore non ha la forza di guardare e si rivolge ai tabelloni pubblicitari per implorare la grazia. Del gesto di Pirlo son piene le televisioni di Germania, ripetono la scena del milanista che va incontro a Francesco e gli affida il pallone, come si affida un salvacondotto per la famiglia. «Pensaci tu» la raccomandazione semplice semplice che si addice ai due, entrambi di poche parole, e di molti fatti. Oltre che di grande talento. «Io stavo dentro lo spogliatoio, rapito dagli addetti al doping della Fifa, e per poco non sono svenuto. Ho pensato: questo è capace di fare lo scalino» racconta Materazzi a cui quel rigore e la successiva pena ridotta da parte della Fifa hanno proprio cambiato la vita. Oltre che il mondiale. Riguadagnato, miracolosamente, in un minuto solo.
Quel tiro potente e micidiale ha cambiato la vita anche dei giornali schierati al fianco di Totti, a protezione di un patrimonio nazionale e romano prima di ogni altra cosa. Che spettacolo, lunedì sera, sulle tribune di Kaiserslautern, i cronisti italiani sbalzati in aria come tappi di champagne, per il gusto, per la felicità indiretta, per il campione tornato al centro dell’attenzione, per il Totti d’Italia insomma: indirizzate solo a Lippi e alla sua idea di lasciarlo a riposare in panchina, le espressioni più colorite. Si può capire anche questo in un mondiale nato nell’attesa di un Totti decisivo, atteso per tre volte, prima di decidere di rianimare Del Piero. Al pari dei commenti del circuito radiofonico romano, pirotecnici, coloriti, quasi quasi rimproverano al loro profeta d’aver tirato una folgore nell’angolo, imprendibile e d’aver permesso a Lippi di presentarsi al cospetto di Shevchenko, per i quarti di finale. «Doveva lasciarli lì in braghe di tela» è il paradosso che circola e assume le sembianze di una voglia popolare controcorrente.
Solo Francesco Totti dimostra, nei fatti più che nelle parole del giorno dopo, di essere rimasto sempre lo stesso, per niente turbato dai titoli e dalle reazioni, dagli elogi e dal riscatto dei suoi fans al seguito. «Entrare tra le prime otto del mondo è una gran bella soddisfazione, sudata e meritata alla fine» fa sapere dalla sua tribuna mondiale, il sito dello sponsor personale. «L’espulsione di Materazzi ci ha messo in un angolo, sono entrato e ho dato il massimo, provando a lanciare Perrotta e Iaquinta» il dettaglio tecnico sulla sua esibizione durata 18 minuti. «Quando l’arbitro ha fischiato il rigore non ho avuto dubbi: ero pronto a tirarlo e a segnare. Ho visto la rete gonfiarsi e sono diventato pazzo di felicità. Felice per me, per la squadra, per i tifosi, per coloro che mi sono stati vicini» le altre parole. Nell’elenco manca una citazione ad hoc per Lippi. Chissà se vuol dire qualcosa oppure no. Il finale di Totti è una testimonianza dedicata a Pessotto e alla sua vicenda, «giornata rovinata, spero di rivederlo presto». Gli eccessi di un tempo, la voglia di stupire appartengono a un’altra stagione e anche a un’altra epoca. Se ora persino sua moglie Ilary, commossa da quel rigore, si scioglie in lacrime vuol dire che il giovanotto è diventato un uomo e che il campione, consapevole dei suoi acciacchi e delle sue responsabilità, non ha più voglia di giocare col destino e col cucchiaio ma neanche con la fiducia a tempo, oggi sì domani no, dopodomani forse.

«Quello non è un rigore, è una specie di spartiacque tra il Totti precedente e il Totti dei nostri giorni» riflette ad alta voce Gigi Riva con il consenso di Marcello Lippi che si ritrova a essere amato e discusso nel nome di Francesco. Anche a lui quel rigore ha cambiato la vita. Ed è disposto a riconoscerlo in pubblico e in privato.

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