Riguardi bene il video e si scusi. Con se stesso

di Tony Damascelli
Il sangue di Gennaro è sempre sciolto. Gennaro non è affatto un santo, si fa il segno della croce, è credente ma, come lui stesso ha detto, se uno nasce quadrato non muore tondo. Il guaio è che da qualche tempo Gennaro Gattuso non è nemmeno quadrato, è sghembo, ovale, storto, sembra voler dimostrare al mondo di essere uno, nessuno, centomila, calciatore, capitano, tifoso, ultra, professionista, dilettante, cinico, romantico, calabrese, scozzese, milanese, milanista. È tutto e niente. Il suo canto volgare contro Leonardo vale la testata a Jordan, i fotogrammi di quel sipario, durante e dopo la partita con il Tottenham, il video del coro dell'Olimpico, nei festeggiamenti per lo scudetto, non possono, non devono appartenere a un campione del mondo, a un capitano della squadra di football, la più titolata di tutte.
Gennaro Gattuso ha sempre bisogno di un avversario, addenta a mozzichi un panino, litiga con la moglie, urla al pubblico, sfida l'arbitro, ha giocato con la squadra dei protestanti di Glasgow, i Rangers, ma è cattolico praticante e si è espresso contro i matrimoni omosessuali. Deve ancora decidere che cosa fare da grande, a parte gli affari commerciali. Non può e non deve avere avvocati per i suoi atti screanzati, anche se un avvocato, Claudio Pasqualin, gli è accanto dalla nascita, calcistica, curandone gli interessi. Gennaro Gattuso si fa chiamare Ringhio e ne sta approfittando troppo. Qualcuno dovrebbe ricordargli che veste una maglia che è stata indossata da Liedholm o Trapattoni, da Rivera o Dino Sani, da Schiaffino e Cesare Maldini, da milanisti comunque grandi anche prima di questa epoca televisiva, clamorosa, colossale e anche un po' volgare. Gennaro Gattuso ha sbagliato e continua a sbagliare come molti sodali suoi, vittime di un protagonismo assoluto, di un pensiero (preferisco non utilizzare il sostantivo abusato di «cultura»), un pensiero, dicevo, che prevede la prevalenza del muscolo sul fosforo, dell’aggressività sull’abilità, della provocazione sull’astuzia. Gattuso è il prodotto di questo laboratorio contemporaneo e cafone, come Felipe Melo, come Materazzi, come Totti, come Balotelli, campioni diversi e uguali, uomini esemplari, si dice, calciatori deprecabili, risulta agli atti. Se fosse un calciatore straniero non troverebbe gli stessi alibi, può chiedere conferma al suo collega Ibrahimovic. Ma è italiano, è milanista, ha vinto mondiali con la nazionale e con il suo club, ha la faccia tosta e bella, nel senso che si intende, sa di non essere un fenomeno ma sta abusando di se stesso e del mestiere fantastico che svolge.
Quando, dopo la vittoria magica di Berlino nell'estate del duemila e sei, a Enrico Varriale che gli domandava di spiegare la sensazione di quel momento mondiale, Gennaro Gattuso, guardandosi nel monitor tv, rispose: «Madonna quanto so' brutto!».

Si riguardi ancora, Gennaro Gattuso, ascolti il coro becero dell’Olimpico, osservi al rallentatore le immagini del confronto con Joe Jordan. Non è soltanto brutto. Provi a pensare, provi a domandarsi se quel forsennato e maleducato è lui o è un sosia. E poi chieda scusa. Non agli altri, non davanti alle telecamere. Ma da solo. A se stesso.

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