Il «rincrescimento» di Chirac per il voto sul genocidio armeno

Ma la telefonata del presidente a Erdogan imbarazza l’Eliseo

Alberto Toscano

da Parigi

«Jacques Chirac mi ha telefonato per esprimermi il suo rincrescimento e la sua solidarietà» dopo il voto da parte dell’Assemblea nazionale francese di un disegno di legge che punisce gli atteggiamenti negazionisti a proposito dei fatti del 1915, dice il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan all’indomani dell’approvazione da parte dei deputati transalpini del testo sul genocidio armeno. Adesso il disegno di legge passa al Senato, ma intanto le autorità francesi sono preoccupate per la collera dei turchi, che si sentono nel mirino di questa singolare iniziativa parlamentare, avviata da un gruppo di deputati dell’opposizione socialista francese. Il genocidio armeno in terra turca ebbe luogo durante la Prima guerra mondiale e costituisce un fatto storico incontestabile. Solo che la Turchia attuale tratta quell’argomento con particolare cautela, circostanza che irrita la comunità francese di origine armena e che si è tradotta nell’attuale disegno di legge.
Per placare l’ira turca, Chirac ha ora telefonato a Erdogan. Sul contenuto della loro conversazione c’è la versione del premier di Ankara, secondo cui Chirac avrebbe espresso un vero e proprio «rincrescimento», e c’è l’imbarazzatissimo silenzio dell’Eliseo, le cui fonti rispondono in termini estremamente vaghi alle sollecitazioni della stampa. Chirac ha sempre cercato di seguire una linea filoturca, ma non può spingersi fino a umiliare il Parlamento francese, chiedendo scusa ad Ankara per le scelte liberamente compiute a Parigi dai deputati. La sua situazione è molto delicata.


È possibile che - in caso di approvazione del testo in questione anche da parte del Senato - Chirac eviti di promulgare immediatamente la legge contro il «negazionismo» a proposito del genocidio armeno, che prevede pene fino a un massimo di 45mila euro di multa e a un anno di detenzione. L’Eliseo potrebbe rispedire la legge alle Camere, chiedendo a deputati e senatori di pronunciarsi una seconda volta.

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