Medicina

Come rinforzare l’osso mascellare quando è debole

Mariella Passerini

I gravi problemi dell'insufficienza d'osso mascellare o mandibolare, che riguardano il 30-40 per cento dei pazienti bisognosi di protesi fisse, sono stati uno dei temi principali del congresso dell'Aisi (associazione italiana di stomatologia implantoprotesica), svoltosi recentemente a Torino.
«È un problema complesso, difficile da risolvere ma non impossibile», spiega il dottor Silvano Tramonte, odontoiatra implantologo a Milano (www.tramonte.com, 02-877065). «Dopo l'estrazione o la perdita di un dente, lo spessore della cresta ossea che lo supportava inizia a ridursi. Questo processo prosegue ininterrottamente nel tempo se non si interviene con la riabilitazione, cioè l'inserimento di una protesi che faccia riacquistare all'osso la sua funzione, frenando il processo degenerativo. Purtroppo, di tutto questo ben pochi sono consapevoli: un gran numero di persone, infatti, procrastina per anni gli interventi riabilitativi che dovrebbero essere eseguiti subito dopo la perdita di ogni dente. Succede soprattutto quando le aree edentule non sono visibili dall'esterno ed il paziente non è quindi spinto ad intervenire immediatamente per porre rimedio ad un problema estetico. Di estrazione in estrazione, arriva il momento in cui si rende improcrastinabile ripristinare la normale funzione masticatoria: e qui cominciano i guai, perché solo allora il paziente si rende pienamente conto del danno provocato dalla propria indecisione». A questo punto, come si interviene? Precisa Tramonte: «la procedura più consigliata, ma certamente anche la meno gradita ai pazienti, è il trapianto osseo autologo, cioè il prelievo di un frammento d'osso dall'anca o dalla teca cranica del paziente stesso, e il suo contestuale innesto nell'area ossea da ispessire. Anche se dolorosa e piuttosto impegnativa, questa metodica risulta ancora oggi abbastanza efficace, quando si tratti di fornire spessore o altezza all'osso mascellare. Funziona invece molto meno nella mandibola, a causa di diverse possibili complicanze, la più importante delle quali è la tendenza dell'osso mandibolare che ospita l'innesto a riassorbirlo. Evento frustrante che vanifica i sacrifici sopportati dal paziente e riporta la situazione al punto di partenza, cioè all'impossibilità di inserire impianti fissi in una cresta ossea troppo stretta o troppo bassa Oltre alle elevate percentuali d'insuccesso, a rendere poco gradita la ricostruzione della cresta con blocchi di osso autologo contribuiscono anche i tempi totali del trattamento, che sono lunghissimi. Tutto questo spiega perché la maggior parte dei pazienti ben informati sulle implicazioni della procedura finisca per rifiutarla, rischiando di pregiudicare successivi interventi riabilitativi e di andare incontro a severe degenerazioni cliniche e funzionali». C'è qualche soluzione alternativa che possa aiutare il paziente in un frangente così difficile? «Una metodica alternativa evita al paziente di sottoporsi a trapianto - conclude il dottor Tramonte - ed è basata sull'abilità dello specialista e su impianti che possono essere inseriti in spessori ossei esigui e di forme irregolari. Soltanto disponendo di viti d'ingombro ridotto e modellabili, l'implantologo può lavorare con la duttilità necessaria, effettuando inserzioni angolate o aggirando formazioni anatomiche che presentino aspetti critici.

Si può applicare una tecnica, chiamata cavaliere laterale che permette di utilizzare l'unico punto possibile di ancoraggio in una mandibola atrofica, cioè la parte inferiore, sotto il canale mandibolare».

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