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Rinviata a luglio la resa dei conti

Il dibattito sul referendum ha diviso il partito ma il vero confronto sarà all’assemblea nazionale

Rinviata a luglio la resa dei conti

da Roma

S’è chiusa la campagna referendaria, oggi s’impone il silenzio, ma in Alleanza nazionale non si placano le polemiche. È facile prevedere che s’accenderanno vieppiù lunedì sera, quando si saprà chi ha vinto, ma per buona sorte della destra lo show down è fissato in tempi ravvicinati. Sarà la sindrome del luglio avanzato, ma l’Assemblea nazionale di An è stata convocata per il 2 e 3 luglio: l’hanno deciso ieri Gianfranco Fini e Domenico Fisichella, che del parlamentino interno è presidente. In quella sede si verificherà se ci sono le condizioni «perché questa realtà così difficile del partito possa essere sanata e superata».
Parola di Fisichella, che ancor prima dell’ultimo «strappo» di Fini sembrava già con un piede fuori, e adesso spiega come quanto sta avvenendo in An sia «il risultato di una lunga storia di questioni aperte e non sempre adeguatamente risolte», questa vicenda «è soltanto l’ultimo e il più recente momento di un disagio che ha una lunga gestazione». Lunga quanto? Nasce nei recenti risultati elettorali o già concepita dalla kippah? O addirittura congelata in vitro, con lo sfortunato elefantino di Mariotto Segni?
In molte scommesse s’è impegnato Fini, e certo non poteva vincerle tutte, ma è un guaio perdere quelle fatte contro il proprio partito. Pur se Giuseppe Consolo lo elogia, Fini «ha diritto di non essere demonizzato per il suo coraggio», e profetizza che «tutti quelli che ora mugugnano dovranno ricredersi», perché se Berlusconi potrà legittimamente aspirare al Quirinale, «il candidato premier del nuovo partito non potrà che essere Gianfranco».
Vedi che non è del tutto solo, il presidente di An? È scesa in campo anche Assunta Almirante, dichiarando anch’ella che andrà a votare, «tre sì e un no all’eterologa», e spiegando che sono «ingiusti» gli attacchi a Fini: «Sembra che i guai li stia combinando lui, invece li stanno combinando tutti». Massiccio e senza riserve è l’appoggio del Secolo d’Italia, che in un fondo firmato da Aldo Di Lello s’interroga: «Vogliamo per An la staticità o la dinamicità? Ci accontentiamo di una destra tutta law and order che non vada aldilà del trinomio “Dio, patria e famiglia”? Ci piace una destra formato maresciallo in pensione?». E conclude scommettendo che Marinetti, «se fosse un nostro contemporaneo», domani «andrebbe a votare».
Tant’è che nello scontro interno, i colonnelli si contendono le posizioni. Ieri Storace sparava su Fini, ma ora il ministro della Sanità si dice «dispiaciuto» che le sue parole siano lette come un «attacco», anzi le critiche coinvolgono «tutta la classe dirigente», anche lui dunque ha «autocritica da fare».

Maurizio Gasparri invece, dichiarate «inaccettabili» le critiche di Fini all’astensione, è pronto a rimangiarsi l’impegno a sciogliere la sua corrente, perché «se poi nel partito si discute di cosa è o cosa non è la vita, se il superamento delle componenti vuol dire superare qualsiasi forma di identità della destra, in tal caso mi tengo strette le componenti».

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