Ripellino, di magico non c’è soltanto Praga

Una raccolta che accorpa molti inediti giovanili e i versi di virile tenerezza caratteristici dell’ultimo periodo

Il poeta e latinista Alessandro Fo, da anni benemerito promotore, con Antonio Pane e Claudio Vela, del rilancio di una personalità straordinaria e versatile come Angelo Maria Ripellino (1923-1978), distingue oggi il campo dei lettori, effettivi e potenziali, tra «chi ama» e «chi non ama» Ripellino. Lo dice nell’introduzione al volume delle Poesie prime e ultime, che di Ripellino poeta riprende le due raccolte iniziali (Non un giorno ma adesso e La fortezza d’Alvernia) e la sesta (Autunnale barocco), ovvero quelle edite non presso Einaudi, che però annuncia imminente una ristampa delle tre intermedie: Notizie dal diluvio, Sinfonietta e Lo splendido violino verde.
A nessuno sarà possibile prescindere dalla vivace complessità del personaggio, estroso principe di una generazione di slavisti, brillante nel teatralizzare ogni universo col quale entri in contatto, autore spiccatamente teatrale lui medesimo, con una leggendaria capacità di scrutare ciò che sta dietro la maschera, appurando al contempo la profondità e la verità insite nell’adozione della maschera. Insomma nell’esibito «fittizio» di Ripellino si colgono la malattia dell’inappagamento e insieme l’unica soluzione che a quella malattia si possa dare.
L’educazione di Ripellino poggia su una curiosità inesauribile e molteplice, pur nell’affermarsi di un nucleo maggiore, che ha il nido nella civiltà della vecchia e nuova Europa centro-orientale (le avanguardie russe, la poesia cèca, da lui illustrate fin dalla tesi di laurea e via via chiarite in studi e traduzioni esemplari). Trent’anni or sono, alla scoperta di una Praga ancor gravata dal giogo sovietico non si andava senza il sostegno di Praga magica (1973). Così, l’appassionato di teatro si nutriva di Il trucco e l’anima (1965). A Praga Ripellino - che nel ’46, lettore all’Istituto Italiano di Cultura, vi aveva conosciuto Ela, sua futura sposa - non tornava solamente per ricerche, lezioni o convegni: nel ’68, inviato de L’Espresso, raccontò prima l’illusoria «primavera», quindi in agosto l’arrivo dei carri armati del blocco di Varsavia.
Chi ama Ripellino è rapito dalla sua abilità nel conglomerare e sùbito sciogliere in un flusso discorsivo una miriade di materiali desunti dal mito e dalla cronaca, sublimità e cose volgari, astrazioni e oggetti d’uso quotidiano. Chi non lo ama, fatica a tenere il passo di un troppo veloce corteo di fantasie, di argomenti... C’è, nel volume odierno, una cospicua sezione di inediti giovanili: sperimentale, ingegnosa preistoria del poeta. Ma poi, i molti datati 1977 grondano di virile tenerezza: ancor più che nell’Autunnale barocco, vi agisce il reiterato avviso di una morte ormai prossima. Ma soprattutto, a chi ama Ripellino poeta e a chi non lo ama, suggerirei di soffermarsi sulla sequenza che dà il titolo a La fortezza d’Alvernia.
La «fortezza» è il sanatorio, non lontano da Praga, dov’egli si ricoverò per sei mesi, nel 1965, a curarsi, parve con buon esito, della tubercolosi che fin da ragazzo lo aveva aggredito. Lì, in un fiammeggiare di fuoco nero, il realismo si proietta in allegoria, ciascun individuo ed episodio sollecita a essenziali verità.

Ci colpisce la penosa grandezza dei «nonostante», cioè coloro che, prigionieri in quella riserva del male, non gli cedono e, come che sia, scelgono di vivere.

Angelo Maria Ripellino, Poesie prime e ultime (Aragno, pagg. 525, euro 30).

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