Risanamento, i pm bocciano anche il piano bis

I magistrati respingono il secondo progetto di salvataggio, in cui gli istituti creditori prevedono di investire 70 milioni per evitare il fallimento. Secondo la pubblica accusa il gruppo non si regge in piedi senza aiuti esterni. La parola al Tribunale

Si alza il livello dello scontro tra Procura e banche sul caso Risanamento. Dai pm di Milano, che ieri hanno depositato le loro controvalutazioni, giunge una nuova bocciatura del piano di salvataggio del gruppo immobiliare, a conferma dello scetticismo già manifestato ai primi di settembre. Il piano sarebbe «parziale» e non «idoneo» a rimuovere i motivi di insolvenza della società, secondo il giudizio dei pm Laura Pedio e Roberto Pellicano.
Non che le banche e il presidente Vincenzo Mariconda nutrissero grosse aspettative su un cambio di rotta della procura, ma a questo punto le premesse ci sono tutte per vedere un’udienza assai combattuta, giovedì prossimo, in tribunale, cui spetta l’ultima parola sull’istanza di fallimento di Risanamento. Intanto il titolo continua a muoversi a singhiozzo in Borsa: il no della Procura ha causato ieri una flessione del 3,56%, a 0,46 euro.
Tutto, dal punto di visto giuridico, sembra giocarsi attorno al concetto di continuità aziendale di Risanamento. Da una parte le banche, secondo cui il piano, con i suoi 130 milioni di ricapitalizzazione, garantisce tutti, fornitori e creditori. Dall’altra la Procura, convinta che senza «stampelle» esterne la ex società di Luigi Zunino, non si regga in piedi. A sostegno delle sue posizioni la Procura porta anche il recente intervento della banche che hanno concesso a Risanamento un’ulteriore linea di credito da 76 milioni, a copertura di una possibile contestazione Iva su alcune transazioni immobiliari. Un intervento insufficiente in sé - a detta dei pm - e che dimostrerebbe la totale dipendenza dell’azienda da continue misure straordinarie. Un altro rilievo mosso dalla Procura riguarderebbe poi i costi dello stesso piano di salvataggio: banche e consulenti assorbirebbero da soli, con le loro parcelle, già 25 dei 130 milioni di liquidità che verranno forniti a Risanamento. La parola, ora, è sempre di più nelle mani del tribunale fallimentare, vero arbitro di questa partita. Non è comunque detto che l’udienza di giovedì chiuda definitivamente la partita. Il giorno successivo, il 16 ottobre, scade il termine per la presentazione di eventuali opposizioni al piano di ristrutturazione da parte dei creditori: per ora richieste in tal senso non sarebbero giunte, ma sicuramente i giudici vorranno avere un quadro completo della situazione. Anche perché resta parallelamente aperto il procedimento di «omologa» del piano stesso.
«Non ci sono ragioni perché Risanamento fallisca perché non sussiste in alcun modo lo stato di insolvenza», sostengono i legali di Risanamento nella memoria presentata la settimana scorsa al tribunale fallimentare di Milano e consultata da Radiocor, paventando il rischio di una nuova Parmalat (si tratterebbe del dissesto più grave dopo quello della società di Collecchio).
Altrettanto fondamentale sarà, però, la strategia delle banche: non solo «consulenti» in questa vicenda, ma parti in causa, per via della loro esposizione (di miliardi di euro) verso Risanamento che, in caso di fallimento, spingerebbe i crediti in sofferenza nei loro bilanci. La determinazione degli istituti a portare l’azienda fuori dalle sabbie mobili è risultata chiara in questi mesi.

Hanno messo a punto il piano di salvataggio e alcuni interventi supplementari, fino alla linea di credito per il contenzioso fiscale del gruppo. I tempi sono stretti, ma bisognerà capire se le banche saranno disposte a fare concessioni per allargare il «consenso» sul piano e partire con il vero salvataggio di Risanamento.

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