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Risanamento, piano a rischio Nuove garanzie delle banche

Il consiglio di Risanamento, cominciato poco dopo le 17, si è prolungato fino alle 21 e nulla è trapelato sui contenuti delle discussioni, alle quali hanno partecipato anche i consulenti legali. Un comunicato sarà emesso stamattina, prima dell’apertura della Borsa. Più che al dissequestro delle aree di Santa Giulia poste nei giorni scorsi sotto sequestro dalla Guardia di Finanza per irregolarità relative alle opere di bonifica, il cda si è dedicato al progetto di organizzare un fondo che metta al riparo il gruppo dai nuovi rischi.
Esattamente a un anno dalla richiesta di fallimento della società da parte della Procura di Milano (era il 16 luglio del 2009), quest’altra tegola rischia nuovamente, se non di compromettere, di aggravare il complesso piano di risanamento di Risanamento (l’antanaclasi è voluta) predisposto dalle banche, guidate da Intesa Sanpaolo e Unicredit. Risanamento (di cui Luigi Zunino, pur estromesso dal cda, controlla ancora il 79%) rischiava di soccombere sotto una massa di debito da 2,8 miliardi. Il piano, approvato l’11 novembre, prevedeva un aumento di capitale da 150 milioni non ancora completato, 350 milioni di prestito convertendo e una serie di dismissioni, dal portafoglio trading all’area Falck, quest’ultima valutata 450 milioni. Le banche più esposte con il gruppo erano Intesa Sanpaolo (477 milioni), Unicredit (266 milioni), Banco Popolare (300 milioni) e Popolare di Milano (76 milioni), Banca Monte dei Paschi.
Il lavoro era stato avviato, e i dati di bilancio indicavano al 31 marzo una posizione finanziaria netta negativa per 2,6 miliardi. Inoltre, l’11 giugno, era stata data notizia dell’accordo preliminare per la cessione dell’ex area Falck di Sesto San Giovanni alla Bi&Di Real Estate di Davide Bizzi anche per conto dei coreani di Honua Investment Managment Inc, insieme al Consorzio Cooperative Costruzioni e al gruppo industriale Bandiera. La cifra pattuita era di 405 milioni, che per una quota di 280 sarebbero andati a ridurre il debito; la chiusura del contratto era prevista entro settembre. Oggi il quesito è il seguente: cambierà qualcosa nella trattativa ancora in corso di perfezionamento? Saranno richieste verifiche ambientali più approfondite, visto che anche l’area ex Falck, come quella di Montecity, è un antico insediamento produttivo? Il solo rinvio della conclusione comporterebbe una riconsiderazione di vari parametri finanziari.
Ma il vero nodo su cui la discussione è aperta riguarda le certificazioni ambientali di Santa Giulia. Il gruppo Risanamento esibisce certificazioni prodotte dall’Arpa - l’agenzia regionale per l’ambiente - che alla Guardia di Finanza, autrice del sequestro, non risultano. Le incognite relative a questo capitolo sono di ordine, oltre che giuridico (con implicazioni anche di natura penale), economico. Perchè se l’area sequestrata dovesse essere (nuovamente?) oggetto di bonifiche, gli importi necessari sarebbero di rilievo. La cifra già spesa per ripulire l’area è stata di 120 milioni. L’autore dell’intervento, l’imprenditore Giuseppe Grossi, durante un interrogatorio dei magistrati, ha stimato in 400-500 milioni la cifra necessaria per bonificare l’intera area, che misura oltre un milione di metri quadrati.


Di fronte a queste cifre, se dovessero essere confermate e se la necessità di nuovi interventi dovesse rivelarsi ineludibile, il piano finanziario dovrebbe essere riscritto. É stato anche ipotizzato un fondo nel quale le banche farebbero confluire nuove risorse per creare le necessarie garanzie al proseguimento dell’operazione.

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