Dalla risata all'orrore I pagliacci geni del Male fra serial killer, arte e tv

l film dell'orrore It, adattamento dell'omonimo romanzo di Stephen King e diretto da Andrés Muschietti, ha dominato il box office di questo mese. Centrale è il terrificante clown Pennywise. Abbiamo chiesto a uno scrittore di raccontarci perché il pagliaccio incarna le nostre peggiori paure.

Dalla risata all'orrore I pagliacci geni del Male fra serial killer, arte e tv

l film dell'orrore It, adattamento dell'omonimo romanzo di Stephen King e diretto da Andrés Muschietti, ha dominato il box office di questo mese. Centrale è il terrificante clown Pennywise. Abbiamo chiesto a uno scrittore di raccontarci perché il pagliaccio incarna le nostre peggiori paure.

Non c'è niente di più buffo di un clown intento a esibirsi in un circo, davanti a un pubblico che ride a crepapelle. Ma se qualcuno bussasse alla porta di casa vostra nel cuore della notte e, giunti all'uscio, vi trovaste di fronte al medesimo clown, provereste di certo una sensazione molto diversa. Parola di Robert Bloch, il padre di Psycho, di Jack the Ripper e di altri romanzi capaci di far gelare il sangue delle vene. Nel suo saggio dal titolo emblematico The Clown at Midnight pubblicato nel 1960 per la rivista americana Famous monsters, questo autore esprime un concetto che oltre quarant'anni più tardi verrà ribadito dallo sceneggiatore Stephen Volk con poche, semplici parole: nulla è più spaventoso della normalità capovolta.

Ma torniamo a Bloch e alla sua passione per le atmosfere del thrilling che la fiction contemporanea, assuefatta da troppi effetti speciali, rende con sempre minor efficacia. Benché all'epoca non si potesse ancora parlare di coulrophobia (terrore del clown), il padre di Psycho è stato comunque profetico. Si pensi, per esempio, al caso di John Wayne Gacy, meglio noto come Killer Clown, nato a Chicago nel 1942 e giustiziato per iniezione letale nel 1994 in seguito a un ancora imprecisato numero di delitti a sfondo macabro e sessuale. Queste uccisioni, consumate tra il 1972 e il 1978, gettano un'ombra inquietante sul folklore americano.

Non importa che Gacy avesse l'abitudine di mascherarsi da pagliaccio soltanto per intrattenere i bambini alle feste di beneficenza. Tutti lo immaginano a seviziare le sue vittime nei panni di Pogo il Clown, non certo in quelli di una persona qualunque, uno di noi. E così infatti ci viene presentato nella quinta stagione della serie tv American Horror Story, dove Gacy risorge con il volto dell'attore John Carroll Lynch, in tutto il suo spaventoso disturbo istrionico/narcisista.

Non è però sull'esempio dell'uomo - anzi, del mostro - che intendo soffermarmi, bensì su un insolito exploit artistico di Gacy. Durante i suoi ventotto anni di carcere, egli si dedicò a dipingere dei pagliacci, per lo più autoritratti, quasi nel tentativo di dare un volto a un proprio alter ego. Un alter ego pacioso, che nulla avrebbe da spartire con le tavole di un indiscusso maestro dell'horror: Clive Barker.

Scrittore, produttore cinematografico e regista britannico, Barker (a cui si deve, tra l'altro, la rivoluzionaria saga di Hellraiser) esprime il suo talento anche attraverso fumetti e illustrazioni, tra cui dei clown dipinti a olio su tela. Si tratta di creature a metà tra il visionario e l'infernale realizzate in certi casi con tinte sgargianti, quasi violente, e in altri attraverso grumi di colori simili a sbavature di sangue. Ecco quindi il bizzarro Electrified Clown del 1997, l'enigmatico Yellow-faced Clown del 1998, il grottesco The Clown realizzato in inchiostro nero del 2000 e, forse il più inquietante, il The Party Clown del 2012: un sogghignante pagliaccio con gorgiera e cappello a punta chino su un teschio. Clive Barker manifesta il suo interesse per i clown già negli anni Ottanta. Di preciso, inserendo nei suoi Books of Blood un racconto intitolato Dread (diventato film nel 2009) in cui un giovane, messo di fronte alle sue paure più viscerali, perde il senno e si trasforma in un killer clown armato di accetta. Un clown fin troppo bizzarro per esistere davvero, rimuginerà la sua vittima: «Come poteva quell'assurda immagine, la stessa immagine che lo svegliava notte dopo notte, essere qualcosa di diverso da un sogno?» (Clive Barker, Libri di sangue, vol. 2, ed. Castelvecchi). Ancora una volta, il ribaltamento della normalità.

Siamo circa a un anno dalla pubblicazione di It. Prima del celeberrimo Pennywise di Stephen King, dobbiamo però fare i conti con un altro pagliaccio assassino. Nel 1982 approda infatti nelle sale cinematografiche Poltergeist, girato da Tobe Hooper ma basato su soggetto e sceneggiatura di Steven Spielberg. Ebbene, credo siano stati in pochi a non saltare sulla poltrona davanti alla bambola pagliaccio che aggredì il piccolo Robbie Freeling nella sua camera da letto. La scena, riproposta dal meno suggestivo remake del 2015, parrebbe avere origine dalle fobie infantili di Spielberg. Fobie che non abbiamo la possibilità di conoscere nella loro interezza, ma che certo scaturiscono dal timore inconscio di cosa potrebbe nascondersi dietro un sorriso troppo giocoso, anzi sguaiato. Un sorriso che diventa stonatura ma anche maschera. Un sorriso che, emergendo dal buio, diventa aberrante quanto la casa dei dolciumi nel bosco di Hänsel e Gretel.

Sarà tuttavia It di Stephen King ad aprire il vaso di Pandora. It che, con le sue introspezioni e la sua struttura narrativa a flashback, va ben oltre la paura del clown. Subito dopo la pubblicazione del romanzo (1986), vengono girati l'originalissimo Killer Klowns from Outer Space dei fratelli Chiodo, Clownhouse di Victor Salva e finalmente, nel 1990, la miniserie televisiva che farà conoscere al mondo il sorriso da squalo di Pennywise. Nel frattempo era già stato pubblicato The Crow di James O'Barr e tutti conoscevano il Joker di Batman. Nel 2014, poi, verrà proiettato Clown di Jon Watts.

Ma la nostra storia non riguarda solo la fiction. Non se prestiamo fede alle voci e ai filmati che riportano alcuni strani eventi verificatisi in Carolina del Sud nel 2016 come pure nel resto del mondo. Reggio Emilia, un uomo viene aggredito da ladri mascherati da pagliacci. Canton Zurigo, si registrano aggressioni di uomini travestiti da clown. Lancashire, un giovane falegname viene attaccato da un clown armato di machete. Newcastle, gli abitanti terrorizzati non si fidano di lasciar uscire da soli i loro figli da casa. Berlino, un quattordicenne accoltella un horror clown che l'avrebbe spaventato a morte. Parrebbero citazioni della trilogia The Purge (La notte del giudizio) e, quel che è peggio, non si tratta di casi isolati. Si inizia a parlare di psicosi, di clown hysteria, di fronte a un fenomeno forse in aumento.

Del resto, sarebbe sbagliato relegare l'archetipo del pagliaccio a una natura frivola e mansueta. Ce ne darebbe conferma anche il danzatore britannico Giuseppe Grimaldi - le cui memorie furono rivedute da Dickens - che tra fine Settecento e inizio Ottocento propose per primo, a teatro, questa controversa figura. Ma non solo. Grimaldi indossò anche la maschera di Arlecchino, il padre di tutti i buffoni.

E come è ben noto, prima di essere buffone Arlecchino fu un demone medievale: Hellequin, un abominevole trascinatore di orde spettrali che infestarono le paure dei cosiddetti secoli bui. Un demone citato persino nell'Inferno di Dante e che, nelle maschere più antiche, conserva un bitorzolo cornuto sulla fronte.

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